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L’Ilvia di Taranto: la storia sofferta dell’acciaieria più grande d’Europa

L'Ilva di Taranto: l'acciaieria in funzione

Tutto è iniziato il 10 aprile del 1965 con la sua apertura: da quasi 60 anni l’Ilva di Taranto è un punto di riferimento per la produzione di acciaio del Vecchio Continente, essendo il suo mastodontico impianto il più grande di tutta l’Europa. Ma l’Ilva, al di là di questo record, viene associata anche (e forse soprattutto) alle controversie che ha dovuto affrontare nell’arco dell’ultimo decennio, dopo le approfondite perizie inviate al ministro dalla Magistratura tarantina dove erano emersi allarmanti dati rispetto ai livelli di inquinamento generati dalla struttura, con effetti a dir poco devastanti sulla comunità locale e, evidentemente, anche sui suoi operai.

Com’è nata l’Ilva: dal boom economico alla crisi degli anni ’80

Ilvia di Taranto. Dai problemi ambientali a quelli di salute causati ai suoi operai, scopriamo insieme la controversa storia dell'acciaieria Ilva di Taranto.
Una colata di acciaio fuso

Il progetto iniziale era certamente ambizioso: l’Ilva è infatti un complesso di ben 15 milioni di metri quadrati situato nella zona Tamburi di Taranto, ideato per rappresentare il futuro del settore siderurgico europeo. L’idea nacque per la prima volta nel 1961, quando le Acciaierie di Cornigliano si fusero con l’ILVA (Alti forni e Acciaierie d’Italia) andando così a formare il germoglio di quello che nel 1964 diventò Italsider. Lo stabilimento Italsider di Taranto (così era chiamato in principio) diventò in men che non si dica il più importante stabilimento di acciaio e ferro in Europa, rifornendo così non soltanto l’Italia ma anche gran parte degli altri Stati europei. Per molti è stato uno dei tanti simboli del boom economico italiano post Seconda Guerra Mondiale, un vero e proprio faro di speranza per la ripresa economica della zona capace di creare occupazione e ricchezza.

Italsider attraversò però una profonda crisi negli anni ’80 con la successiva acquisizione dell’azienda da parte del gruppo Riva, arrivata nel maggio del 1995. Fu una privatizzazione del valore di 2.500 miliardi di lire, nonostante la società fosse stata valutata a 4.000 miliardi. Non stupisce, dunque, se furono in molti all’epoca a gridare ad una svendita dell’Ilva. Nonostante gli sforzi di rilancio dell’azienda da parte del gruppo Riva, quelli furono anche gli stessi anni in cui, per la prima volta in assoluto, iniziarono ad emergere i primi seri dubbi sull’impatto ambientale della struttura.

L’anno del sequestro

La Magistratura tarantina decide di sequestrare l’acciaieria nel 2012 a seguito di rilievi che avevano dimostrato delle “gravi violazioni ambientali”.

A dire il vero, la complessa situazione ambientale derivante dalle operazioni industriali dell’ILVA di Taranto era nota da tempo, molto prima del giorno del sequestro. Già nel 1990, in effetti, il Governo italiano aveva designato la provincia di Taranto come una regione “a elevato rischio ambientale”. Nel corso degli anni, le emissioni inquinanti dell’ILVA avevano portato a varie azioni legali, alcune delle quali ancora in corso, riguardanti inquinamento, disastri ambientali dolosi e colposi, contaminazione alimentare, mancanza di precauzioni contro gli infortuni sul lavoro, danneggiamento di beni pubblici, scarico di sostanze pericolose e inquinamento atmosferico. Nello specifico, nel 2012 il Giudice per le Indagini Preliminari di Taranto, la dott.ssa Patrizia Todisco, aveva disposto il sequestro degli impianti a caldo dell’ILVA senza possibilità di utilizzo, poiché coloro che gestivano e gestiscono l’azienda hanno continuato deliberatamente in attività inquinanti, privilegiando il profitto e ignorando tutte le più basilari norme di sicurezza. Inoltre, il provvedimento aveva stimato in 8 miliardi di euro i costi per la bonifica.

I decreti Salva-Ilva

A partire da quel momento il Governo italiano si è ritrovato costretto a correre ai ripari con una lunga serie di provvedimenti legislativi d’emergenza, anche chiamati come “Decreti Salva-ILVA“, che sono stati adottati in un arco di tempo di ormai 10 anni e che hanno permesso alle attività produttive dell’Ilva di proseguire, e questo nonostante le indagini in corso da un lato e la certezza che l’azienda rappresentasse un serio pericolo sia per la popolazione sia per l’ambiente locali.

Nel primo di questi decreti, il 207/2012, per esempio, si stabliva che le attiivtà dell’Ilva sarebbero proseguite per un periodo massimo di 36 anche in caso di eventuale sequesto della struttura, essendo essa un impianto importantissimo e di interesse strategico nazionale.

L’Ilva oggi

Negli ultimi decenni le emissioni inquinanti dell'Ilva di Taranto hanno purtroppo causato la morte di diversi operai: ecco la sua storia.
Operai all’interno di un’acciaieria

A ormai 12 anni di distanza dal sequestro l’ex Ilva rischia concretamente il commissariamento. L’8 gennaio 2024, a proposito, si è tenuto un importante incontro tra il Governo Meloni e AncelorMittal, il gigante industriale nato dalla fusione nel 2006 tra la Mittal Steel Company indiana e l’Arcelor europea, nel corso del quale la delegazione governativa ha proposto: “la sottoscrizione dell’aumento di capitale sociale, pari a 320 milioni di euro, così da concorrere ad aumentare al 66% la partecipazione del socio pubblico Invitalia, unitamente a quanto necessario per garantire la continuità produttiva”. L’Esecutivo, tuttavia, ha precisato l’indisponibilità da parte di AncelorMittal “ad assumere impegni finanziari e di investimento” nei confronti dell’azienda.

Secondo quanto riporta Wired, il Governo sarebbe attualmente al lavoro per trovare al più presto un nuovo partner industriale: si è parlato molto da questo punto di vista del gruppo siderurgico Arvedi, anche se pare non sia l’unica opzione possibile sul tavolo. Evidentemente la speranza è che si riesca a trovare una quadra al più presto possibile: ci sono in ballo le vite di centinaia di lavoratori.

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