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Xi Jinping potrebbe deprezzare lo yuan per evitare una deflazione

Una veduta di Shanghai

Stando alle ultime ipotesi formulate da alcuni analisti di settore, sembra che la Cina potrebbe ritrovarsi a stretto giro coinvolta in un ciclo di debito-deflazione. La teoria’è stata formulata di recente da parte dell’esperto Shang-Jin Wei, ex capo economista della Banca Asiatica di Sviluppo (AsDB), che alla luce delle dinamiche in corso nel gigante asiatico ha ipotizzato come il presidente Xi Jinping potrebbe ritrovarsi obbligato a svalutare lo yuan, la moneta cinese. Ecco dunque le sue valutazioni su Business Insider e gli scenari attuali.

Deflazione in Cina: in calo i prezzi al consumo

Cosa succederà se Xi Jinping dovesse effettivamente deprezzare lo yuan per evitare una deflazione= Ecco gli scenari possibili.
La Muraglia Cinese

Se l’inflazione è l’aumento dei prezzi al consumo, la deflazione è evidentemente il suo esatto opposto. Questo meccanismo macroeconomico è in corso in Cina da ormai diverso tempo e, tanto quanto l’inflazione, rischia di avere un impatto molto negativo sull’economia locale: in un contesto in cui i prezzi continuano a scendere, infatti, i consumatori tendono a rimandare gli acquisti in attesa che le tariffe diminuiscano ulteriormente, con la speranza di poter pagare ancora meno in futuro.

La deflazione in Cina prosegue da circa un anno. In base alle più recenti stime a settembre 2023 i prezzi al consumo sono rimasti invariati rispetto all’anno precedente, e questo nonostante le stime al rialzo degli analisti che avevano previsto un aumento dello 0,2%, confermando così il trend di ripresa del mese di agosto (+0,1%). Stando a quanto riportato dall‘Ufficio Nazionale di Statistica, su base mensile è stato registrato un incremento dello 0,2%. Per quanto riguarda i prezzi alla produzione, invece, il calo registrato è stato dello 2,5% su base annua (rispetto alle previsioni del -2,4% e al dato del -3% di agosto). La Cina si è insomma trovata di fronte la sua dodicesima contrazione consecutiva, ma pur sempre la più bassa dallo scorso marzo (e questo anche grazie alle misure di sostegno ai consumi varate dal Governo locale). Per quanto riguarda infine il dato congiunturale si segnala invece una crescita dello 0,4% (con un +0,2% rispetto ad agosto).

Secondo quanto dichiarato da Zhiwei Zhang, economista responsabile di Pinpoint Asset Management:

L’inflazione pari a zero indica che la pressione deflazionistica in Cina rappresenta ancora un rischio concreto per l’economia. La ripresa della domanda interna non potrà essere solida senza un sostegno significativo da parte della politica fiscale. Il danno causato dal rallentamento del settore immobiliare sulla fiducia dei consumatori continua inoltre a gravare sulla domanda delle famiglie.

Xi Jinping potrebbe deprezzare lo yuan?

Secondo alcuni analisti, Xi Jinping potrebbe deprezzare lo yuan per evitare una deflazione. Ecco tutti gli scenari possibili.
Strada cinese

Nella sua analisi Wei ha parlato di una combinazione tossica tra debito e deflazione, una combo molto pericolosa che in prospettiva potrebbe generare un circolo vizioso di calo della domanda, degli investimenti, dell’output e del reddito. L’esperto a proposito ha commentato:

Aumentando il valore reale (corretto per l’inflazione) del debito esistente, la deflazione rende più complicato per le aziende ottenere finanziamenti aggiuntivi, aumentando così la possibilità di bancarotte, una tendenza già individuabile in Cina. Inoltre, una volta che la combinazione di debito e deflazione prende piede può generare un circolo vizioso in cui la minore domanda porta a minori investimenti, minore produzione, minor reddito e, di conseguenza, anche una minore domanda.

Quale potrebbe essere dunque la soluzione a questo periodo così complesso da un punto di vista economico? La risposta a questa domanda è: il deprezzamento dello yuan. Svalutando la moneta il Segretario Generale del Partito Comunista Cinese potrebbe riuscire tra le altre cose anche a ridurre i proventi delle esportazioni generando in parallelo un’impennata delle importazioni.

Shang-Jin Wei ha precisato, inoltre, che nonostante Pechino abbia effettivamente presentato alcune misure per cercare di stimolare maggiormente l’economia, la Banca Centrale Cinese deve ancora iniettare una quantità ingente di liquidità. Wei ha aggiunto:

La banca centrale potrebbe intraprendere una campagna di alleggerimento quantitativo simile alla “frenesia” di acquisto di bond che la Federal Reserve e altre autorità monetarie avevano avviato dopo la crisi finanziaria del 2008. […] In questa fase la Cina avrebbe bisogno dell’approccio del “Whatever it takes” che la Banca Centrale Europea di Mario Draghi ha seguito un decennio fa quando, a sua volta, si è ritrovata di fronte a una spirale di debito e deflazione. La Banca Centrale Cinese dovrebbe dichiarare pubblicamente una strategia per monetizzare una grande parte del debito pubblico e incentivare maggiori investimenti in private equity.

Il rovescio della medaglia, ad ogni modo, è che l’alleggerimento quantitativo potrebbe molto probabilmente indebolire lo yuan, che quest’anno ha già perso un 5% rispetto al dollaro. Quanto detto fino a questo punto rappresenta un serio motivo di preoccupazione per la Cina, visto che un deprezzamento ulteriore potrebbe portare ad una fuga di capitali. Pechino ha in effetti cercato disperatamente di supportare lo yuan, ma ha visto al contempo gli investitori scaricare le azioni cinesi a tempo di record. Wei ha a proposito concluso la sua analisi precisando:

Se il prezzo per salvare l’economia dalla deflazione è un renminbi più debole, questo è un prezzo che vale la pena pagare, e potrebbe addirittura funzionare come un meccanismo di adeguamento utile, aumentando la domanda estera per i prodotti cinesi. Piuttosto che cercare di gestire il tasso di cambio, il che giustificherebbe artificialmente un’aspettativa di deprezzamento, le autorità cinesi dovrebbero lasciare tali aggiustamenti alle forze di mercato.

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