Una pratica aziendale nella quale a volte alcuni lavoratori (stranieri e non) possono dover far fronte è il dumping salariale, una vera e propria svalutazione del loro stipendio. In sostanza, si tratta di un ridimensionamento dello stipendio di un collaboratore rispetto a quello che il luogo, la posizione e il settore dove lavora richiederebbero.
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Questo tipo di trattamento è ben poco etico e spesso si protrae anche molto a lungo nel tempo, risulta avere delle conseguenze negative sulla retribuzione del dipendente e rappresenta anche una violazione dei diritti di base dei lavoratori. Ecco tutto quello che è necessario sapere nel merito della questione.
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Cos’è il dumping salariale
Il termine derivato dal concetto economico di “dumping” applicato alle merci e alla pratica di svenderle ad un prezzo molto più basso rispetto a quella che dovrebbe essere la normalità. Il dumping salariale si verifica quando le imprese riducono i salari dei propri dipendenti a livelli inferiori rispetto agli standard del mercato o al salario minimo legale. Questa pratica può essere adottata per diverse ragioni, tra cui la volontà di ridurre i costi di produzione, aumentare i margini di profitto, o mantenere prezzi competitivi nei confronti di concorrenti che operano in contesti dove il costo del lavoro è più basso.
Dumping salariale: gli scenari
Come anticipato, possono essere numerose le motivazioni che possono purtroppo spingere un’azienda ad abbracciare questo tipo di pratica, così come possono essere numerose le modalità con cui il dumping salariale si manifesta nel concreto. Tra gli esempi troviamo:
- La scelta di lavoratori stranieri: comporta l’assunzione di lavoratori provenienti da paesi con un costo della vita più basso, disposti ad accettare salari inferiori;
- I contratti atipici: l’uso di contratti a termine, part-time, o altre forme di lavoro precario che non garantiscono una retribuzione adeguata;
- La delocalizzazione: ovvero lo spostamento della produzione in paesi dove il costo del lavoro è minore;
- Il lavoro in nero: a volte le aziende decidono di assumere dei lavoratori senza garantire loro un regolare contratto, spesso a condizioni salariali e lavorative inferiori agli standard legali. Questo li mette particolarmente a rischio nel caso in cui si dovessero infortunare, perché non avrebbero garanzie di sorta.
Il tema del salario minimo
Ma in che modo, a questo punto, è possibile proteggere i lavoratori da una pratica simile? Una possibile soluzione, ancora oggi molto dibattuta, è l’imposizione di un salario minimo, una misura che è da anni disponibile in diversi Paesi europei (attualmente 22 su 27) ma che in Italia non è attiva.
Il salario minimo stabilisce una soglia di retribuzione al di sotto della quale nessun lavoratore dovrebbe essere pagato. Questo crea una base legale che protegge i lavoratori da salari eccessivamente bassi e dal dumping salariale stesso. Senza un salario minimo, infatti, le imprese avrebbero la libertà di abbassare i salari per ridurre i costi, facilitando questa pratica scorretta. Si tratta di una misura che, in generale, garantirebbe a tutti i lavoratori delle condizioni di vita molto più dignitose, contrastando così il fenomeno dello sfruttamento.
Nonostante tutto, tuttavia, sembra che almeno per il momento l’introduzione del salario minimo in Italia resti ancora una chimera. Il Governo di Giorgia Meloni attualmente in carica, infatti, si è dimostrato al momento contrario alla sua introduzione nel nostro ordinamento.
Più in generale, per cercare di contrastare il fenomeno, al di là dello stipendio minimo, i policy maker dovrebbero anche cercare di assicurare alle aziende un equilibrio virtuoso tra costo del lavoro e benefici per i lavoratori, offrendo se necessario fondi e/o agevolazioni. Quest’ultimo punto tuttavia, per quanto auspicabile, non è poi di così semplice realizzazione.
L’impegno delle istituzioni europee
L’Unione Europea, proprio da questo punto di vista, è impegnata da ormai diversi anni nella lotta contro il dumping salariale. Nella relazione della Commissione Europea del 2016, a proposito, leggiamo:
“È fondamentale assicurare condizioni di parità e una concorrenza leale nell’UE ed eliminare il dumping sociale; tale relazione sottolinea il ruolo centrale svolto dagli ispettorati del lavoro e/o dalle parti sociali nel far valere i diritti dei lavoratori, nel definire una retribuzione dignitosa conformemente alla legislazione e alla prassi degli Stati membri e nel fornire consulenze e orientamenti ai datori di lavoro; la relazione sottolinea altresì che 28 Stati membri hanno ratificato la convenzione n. 81 dell’OIL sull’ispezione del lavoro e chiede agli Stati membri di garantire che tutte le sue disposizioni siano attuate; invita la Commissione ad assistere gli Stati membri nella creazione di ispettorati del lavoro efficienti ed efficaci e a formulare raccomandazioni basate sulla convenzione n. 81 dell’OIL sull’ispezione del lavoro al fine di garantire il rispetto delle norme sul lavoro e la protezione dei lavoratori, comprese le disposizioni relative all’orario di lavoro, alla sicurezza e alla salute; ricorda il ruolo importante svolto dalle parti sociali nel garantire il rispetto della legislazione vigente”