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L’Economia secondo Karl Marx

Noto filosofo ed economista tedesco vissuto nel 1800, Karl Marx, già nella sua epoca aveva designato il profilo di una economia classica ormai obsoleta a cui opporsi per fronteggiare il periodo della rivoluzione industriale. Il criticismo che lo contraddistingueva lo aveva portato a esaminare il processo produttivo del suo tempo in relazione all’esasperante forza lavoro necessaria e, ispirato dalla corrente dell’illuminismo radicale, aveva dato vita a una nuova economia politica e sociale da un tono piuttosto rivoluzionario.

Il capitalismo, secondo Marx, somigliava più a una “raccolta immane di merce” e, secondo le sue teorie, l’obiettivo massimo di quella corrente consisteva nel generare frequenti e innovativi metodi di produzione, perdendo di vista un elemento essenziale della stessa catena, ossia la capacità lavorativa e la creatività di tutti i lavoratori.

L’idea di trasformare il socialismo utopistico in un socialismo dallo stampo scientifico prende senz’altro spunto da una concezione di valore d’uso e valore di scambio su cui l’intero testo “Il Capitale” si sofferma. L’intento del filosofo risiedeva nella possibilità di cambiare il funzionamento della catena di produzione e far intendere al “datore di lavoro” che se più sforzi si richiedono per aumentare la produzione al fine di trarre profitti maggiori, automaticamente la forza lavoro impiegata acquisisce un plusvalore (dal plus lavoro) e, quindi, va maggiormente remunerata.

Tuttavia, gli avvicendamenti politici che circondavano K. Marx, non gli permisero di esperire una dottrina pienamente organica da cui potersi far guidare, tanto da non completare il testo su “Il Capitale” che prevedeva l’inserimento di altri sei blocchi. E oggi, in virtù di ciò, ci ritroviamo a sottostare ai mali di un capitalismo divenuto ormai predatorio, previsto già un secolo fa dallo stesso Marx che giudicava il “Feticismo delle merci” come il principio più ostile di una economia sempre più dematerializzata.