Quando si utilizza in termine inglese di capital gain (traducibile in italiano con plusvalenza) si sta parlando di una differenza (sempre se positiva) tra il prezzo di vendita o di rimborso di un particolare strumento finanziario e quello del suo acquisto o della sua sottoscrizione: ci si può trovare ad avere a che fare in questo contesto, per esempio, con obbligazioni, operazioni a premio, opzioni, warrants, azioni e ovviamente anche titoli di Stato (anche chiamati BTP). La plusvalenza in questo caso si presenta quando tale strumento viene venduto ad un prezzo superiore rispetto a quello iniziale. L’incremento di valore può riferirsi ovviamente anche a beni (materiali o immateriali) o aziende e rami d’azienda. Di qualunque tipo di plusvalenza si stia parlando, trattandosi di un arricchimento è sempre soggetto a tassazione: vediamo dunque insieme tutti i dettagli nel merito della questione e quello che precisa la normativa vigente sulla tassazione sulla plusvalenza dei titoli di Stato.
Approfondimenti
Tassazione sulla plusvalenza dei titoli di Stato: cosa dice la legge
La tassazione sulle rendite finanziarie degli individui è stata definita attraverso il decreto legge n. 66/2014, voluto dal Governo di Matteo Renzi, entrato in vigore il 1° gennaio del 2014 e conosciuto con il nome di “Irpef spending review”. La normativa prevede dunque che oggi per i privati (o persone fisiche) gli interessi sui titoli di Stato vengano tassati al 12,5%: si tratta di un’aliquota molto più agevolata se prendiamo in considerazione altri titoli emessi sui mercati finanziari che di norma corrisponde al 26%. Ad ogni modo, è necessario fare delle distinzioni in base alle modalità di tassazione dei titoli di Stato che vengono emessi da nazioni estere: la situazione può infatti cambiare se il Paese in questione fa parte o meno della cosiddetta white list, una serie di Paesi che scambiano un numero adeguato di informazioni con l’Italia. La situazione cambia per i titoli di Stato di Paesi che invece fanno parte della black-list, per i quali la tassazine salirà al 26%.
Per i privati, ovvero tutti coloro che non sono proprietari di alcuna attività imprenditoriale, i titoli di Stato possono generare interessi (o redditi di capitale) rispetto al loro possesso e/o plusvalenze (o redditi di natura finanziaria) quando vengono rimborsati o ceduti. L‘aliquota ridotta che è stata decisa dalle autorità in riferimento a interessi e plusvalenze dei titoli di Stato è stata applicata in un’ottica di promozione dell’investimento nei titoli di Stato stessi.
A definire i dettagli della tassazione riguardante le plusvalenze, definiti “redditi diversi di natura finanziaria”, è stato l’ex art. 67, co. 1, lett. c) del TUIR. Secondo quanto riporta il successivo art. 68, come già anticipato, la plusvalenza sarà determinata:
Dalla differenza tra i corrispettivi percepiti nel periodo di imposta e il prezzo di acquisto o il costo di costruzione del bene ceduto, aumentato di ogni altro costo inerente al bene medesimo. Per gli immobili di cui alla lettera b) del comma 1 dell’articolo 67 acquisiti per donazione si assume come prezzo di acquisto o costo di costruzione quello sostenuto dal donante.
È altresì importante ricordare che dal corrispettivo percepito dal valore o costo di acquisto dovranno essere scorporati tutti gli interessi maturati e mai riscossi.
Tutti i proventi di queste obbligazioni e di altri titoli indicati all’art. 31 del DPR n. 601/73 vengono calcolati al 48,08% dell’importo ottenuto, con un’aliquota del 26%. L’Italia, vale la pena sottolinearlo, è uno dei Paesi membri dell’Unione Europea con la tassazione sui titoli di Stato più favorevole in assoluto: si tratta di un trattamento di favore che, per la gioia degli investitori, è attivo ormai fin dal 1971, l’anno di entrata in vigore della legge n. 601.
Un esempio pratico
Proviamo a chiarire con un esempio quello che potrebbe essere nel concreto il capital gain su un titolo di Stato che abbiamo acquistato prendendo in considerazione l’attuale normativa.
Immaginiamo un BTP acquistato al prezzo di 500 euro e rivenduto poi a 1.000 euro: dovremo così calcolare la base imponibile dell’imposta sostitutiva, data dal calcolo 500×48,08%, che dà 240,40 euro. Ecco dunque che l’imposta sostitutiva corrisponderà a 240,4×26%, ovvero 62,4 euro, il 12% della plusvalenza realizzata.
Il regime previsto per gli imprenditori
Il discorso cambia per quanto riguarda i soggetti imprenditori, che dovranno rispettare le regole previste dall’art. 92, co. 1, 2, 3, 4 e 7 del TUIR nel caso in cui i titoli in loro possesso entrassero a far parte dell’attivo circolante. Valgono le stesse disposizioni anche per quanto riguarda le immobilizzazioni finanziarie. Per tutti gli individui che adottano i principi contabili nazionali i titoli di Stato si potranno valutare al costo specifico o ad un valore non minore rispetto a quello che emerge raggruppando i beni in categorie omogenee e attribuendo a ciascuno di essi un valore non inferiore rispetto a quello determinato secondo l’ex art. 92, co. 2 del TUIR. Per completezza di informazione, riportiamo qui sotto il testo integrale del suddetto articolo:
1. Le variazioni delle rimanenze finali dei beni indicati all’articolo 85, comma 1, lettere a) e b), rispetto alle esistenze iniziali, concorrono a formare il reddito dell’esercizio. A tal fine le rimanenze finali, la cui valutazione non sia effettuata a costi specifici o a norma dell’articolo 93, sono assunte per un valore non inferiore a quello che risulta raggruppando i beni in categorie omogenee per natura e per valore e attribuendo a ciascun gruppo un valore non inferiore a quello determinato a norma delle disposizioni che seguono.
2. Nel primo esercizio in cui si verificano, le rimanenze sono valutate attribuendo ad ogni unità il valore risultante dalla divisione del costo complessivo dei beni prodotti e acquistati nell’esercizio stesso per la loro quantità.
3. Negli esercizi successivi, se la quantità delle rimanenze è aumentata rispetto all’esercizio precedente, le maggiori quantità, valutate a norma del comma 2, costituiscono voci distinte per esercizi di formazione. Se la quantità è diminuita, la diminuzione si imputa agli incrementi formati nei precedenti esercizi, a partire dal più recente.
4. Per le imprese che valutano in bilancio le rimanenze finali con il metodo della media ponderata o del “primo entrato, primo uscito” o con varianti di quello di cui al comma 3, le rimanenze finali sono assunte per il valore che risulta dall’applicazione del metodo adottato.
5. Se in un esercizio il valore unitario medio dei beni, determinato a norma dei commi 2, 3 e 4, è superiore al valore normale medio di essi nell’ultimo mese dell’esercizio, il valore minimo di cui al comma 1, è determinato moltiplicando l’intera quantità dei beni, indipendentemente dall’esercizio di formazione, per il valore normale. Per le valute estere si assume come valore normale il valore secondo il cambio alla data di chiusura dell’esercizio. Il minor valore attribuito alle rimanenze in conformità alle disposizioni del presente comma vale anche per gli esercizi successivi sempre che le rimanenze non risultino iscritte nello stato patrimoniale per un valore superiore.
6. I prodotti in corso di lavorazione e i servizi in corso di esecuzione al termine dell’esercizio sono valutati in base alle spese sostenute nell’esercizio stesso, salvo quanto stabilito nell’articolo 93 per le opere, le forniture e i servizi di durata ultrannuale.
7. Le rimanenze finali di un esercizio nell’ammontare indicato dal contribuente costituiscono le esistenze iniziali dell’esercizio successivo.
8. Per gli esercenti attività di commercio al minuto che valutano le rimanenze delle merci con il metodo del prezzo al dettaglio si tiene conto del valore così determinato anche in deroga alla disposizione del comma 1, a condizione che nella dichiarazione dei redditi o in apposito allegato siano illustrati i criteri e le modalità di applicazione del detto metodo, con riferimento all’oggetto e alla struttura organizzativa dell’impresa.
Può essere interessante andare ad approfondire anche il regime di tassazione previsto per gli imprenditori in relazione all’investimento in titoli di Stato. Questi soggetti devono sottostare alle disposizioni previste dall’art. 92, co. 1, 2, 3, 4 e 7 del TUIR, in caso di classificazione dei titoli nell’attivo circolante. Le stesse disposizioni rilevano anche per le immobilizzazioni finanziarie stante il rinvio dell’art. 101 co. 2 del TUIR all’art. 94 “per la valutazione dei beni indicato nell’art. 85, co. 1 lett. c), d), ed e) che costituiscono immobilizzazioni finanziarie“. Pertanto, i titoli di Stato per i soggetti che adottano i principi contabili nazionali, possono essere valutati al costo specifico, oppure ad un valore non inferiore rispetto a quello che risulta raggruppando i beni in categorie omogenee per natura ed attribuendo a ciascun gruppo un valore non inferiore rispetto a quello determinato ex art. 92, co. 2 – 4 del TUIR.