In condizioni ideali un rapporto di lavoro prende il via quando un dipendente firma un contratto e si conclude quando, di comune accordo, le parti decidono di interromperlo. Nel caso di un contratto a tempo determinato, per esempio, dopo aver lavorato un tot di mesi per la stessa azienda un lavoratore sarà nuovamente libero di cercare un nuovo impiego, sempre ovviamente a patto che non si presenti l’opportunità di un indeterminato. Può però accadere che, per un motivo o per un altro, un dipendente si comporti talmente male nei confronti di un’azienda da costringere il suo datore di lavoro a procedere con il suo licenziamento.
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Oltre alle varie considerazioni legali e procedurali, è essenziale comprendere i costi associati a questa decisione e i passaggi necessari per eseguire il processo in modo corretto e rispettoso. Vediamo dunque qui di seguito tutto quello che è necessario sapere a riguardo.
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In quali casi è possibile licenziare un dipendente?
Prima di entrare nel merito della questione è di importanza fondamentale comprendere che il licenziamento di un dipendente può avvenire solo ed esclusivamente in base ad alcuni criteri. La normativa che regola questa delicata questione è la Legge n. 604 del 15 luglio 1966 che prima di tutto riporta:
Nel rapporto di lavoro a tempo indeterminato, intercedente con datori di lavoro privati o con enti pubblici, ove la stabilità non sia assicurata da norme di legge, di regolamento e di contratto collettivo o individuale, il licenziamento del prestatore di lavoro non può avvenire che per giusta causa ai sensi dell’articolo 2119 del Codice civile o per giustificato motivo.
Il licenziamento per giusta causa avviene quando un dipendente ha recato danni oggettivi e dimostrabili all’azienda per cui lavora. Altri scenari possibili sono quelli del licenziamento per giustificato motivo soggettivo, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo e infine il licenziamento ad nutum (in quest’ultimo caso il datore di lavoro non è tenuto a fornire né preavviso né comunicazione scritta).
Le modalità e il ticket di licenziamento
Qualunque sia la modalità scelta, il datore di lavoro dovrà essere consapevole che nel caso di una simile cessazione del rapporto di lavoro dovrà farsi carico del cosiddetto ticket di licenziamento,quello he finanzia la NASPI e che è stato imposto proprio per disicentivare la pratica. Il ticket che l’azienda sarà costretta a pagare però è una condizione che vale soltanto nel momento in cui il datore di lavoro dovesse interrompere una collaborazione a tempo indeterminato o un contratto di apprendistato. Diverso è il caso della naturale fine di un contratto a tempo determinato, o dello scenario in cui sia il dipendente a rassegnare volontariamente le sue dimissioni: in questo caso appare evidente che per l’azienda non ci sarà obbligo di pagare alcunché.
Per il resto, la comunicazione del licenziamento al dipendente deve avvenire per iscritto, altrimenti il recesso da parte del datore di lavoro potrebbe risultare inefficace. Inoltre, la lettera di licenziamento deve includere la dettagliata esposizione dei motivi che hanno portato alla decisione di porre fine al rapporto di lavoro.
A quanto ammonta il ticket di licenziamento
Parliamo ora di numeri. Nel caso in un’azienda volesse licenziare un dipendente a tempo indeterminato o assunto con un contratto di apprendistato dovrà pagare una determinata somma, i cui dettagli sono stati definiti da una recente comunicazione da parte di Inps. L’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale, nella comunicazione n. 531 del 7 febbraio 2024 ha precisato qual è la base di calcolo del contributo, vale a dire il massimale NASpI annualmente determinato in applicazione dell’articolo 4 del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 22. INPS a proposito ricorda che:
La NASpI è rapportata alla retribuzione imponibile ai fini previdenziali degli ultimi quattro anni divisa per il numero di settimane di contribuzione e moltiplicata per il numero 4,33. Nei casi in cui la retribuzione mensile sia pari o inferiore nel 2015 all’importo di 1.195 euro, rivalutato annualmente sulla base della variazione dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie degli operai e degli impiegati intercorsa nell’anno precedente, la NASpI è pari al 75 per cento della retribuzione mensile. Nei casi in cui la retribuzione mensile sia superiore al predetto importo l’indennità è pari al 75 per cento del predetto importo incrementato di una somma pari al 25 per cento della differenza tra la retribuzione mensile e il predetto importo. La NASpI non può in ogni caso superare nel 2015 l’importo mensile massimo di 1.300 euro, rivalutato annualmente sulla base della variazione dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie degli operai e degli impiegati intercorsa nell’anno precedente.
In particolare, per l’anno 2024 tuttora in corso, il limite massimo dell’assegno di disoccupazione NASpI è stabilito a 1.550,42 euro. Considerata tale cifra possiamo trarre le seguenti conclusioni:
- Il contributo annuale per i licenziamenti avvenuti nell’anno corrente ammonta a 635,67 euro, rappresentando il 41% del totale;
- La cifra riportata qui sopra raddoppia per i licenziamenti collettivi con accordo sindacale di aziende non soggette a CIGS, raggiungendo così i 1.271,34 euro;
- Nei casi di licenziamenti collettivi senza accordo sindacale di aziende non soggette a CIGS, il contributo triplica, arrivando a 1.907,1 euro;
- Per quanto riguarda i licenziamenti collettivi senza accordo sindacale di aziende soggette a CIGS, il contributo aumenterà in maniera notevole, sestuplicandosi e raggiungendo la cifra di 2.542,68 euro.