x

x

Vai al contenuto
Messaggio pubblicitario

Dove investire il TFR nel 2025: fondo pensione, assicurazioni o lasciarlo in azienda?

Un anziano al telefono

Il Trattamento di Fine Rapporto (o TFR) è quella quota differita della retribuzione che il lavoratore dipendente in Italia matura durante la propria carriera. Ogni anno, il datore di lavoro accantona una somma pari circa al 6,91% della retribuzione lorda annuale del dipendente, rivalutata secondo un meccanismo prestabilito. Al momento dell’assunzione o in seguito a una modifica contrattuale, il lavoratore ha l’opportunità di decidere dove destinare il proprio TFR: può lasciarlo in azienda, investirlo in un fondo pensione o, in alcuni casi, sottoscrivere una polizza assicurativa a fini previdenziali.
Ecco tutto quello che devi sapere a riguardo.

A chi è rivolto il TFR?

Un domcumento di firma per la concessione anticipata del TFR
Contributi regolari, vantaggi fiscali e crescita nel tempo: il fondo pensione è la scelta di chi guarda lontano.

Hanno diritto al Trattamento di Fine Rapporto (TFR) i lavoratori del settore pubblico che rientrano in una delle seguenti categorie:

  • Sono stati assunti con contratto a tempo indeterminato dopo il 31 dicembre 2000, con l’esclusione delle cosiddette categorie non contrattualizzate;
  • Hanno un contratto a tempo determinato attivo dal 30 maggio 2000 in poi, con una durata minima di 15 giorni consecutivi nello stesso mese;
  • Sono stati assunti a tempo indeterminato prima del 1° gennaio 2001, ma hanno aderito a un fondo di previdenza complementare: in questo caso, il passaggio al TFR avviene automaticamente.

Nei casi in cui il rapporto di lavoro a tempo determinato sia iniziato prima del 2 giugno 1999 e sia proseguito fino almeno al 30 maggio 2000 (data di entrata in vigore del DPCM del 20 dicembre 1999), si applica comunque il Trattamento di Fine Servizio (TFS). Questo comprende prestazioni come l’indennità di buonuscita e il premio di servizio, essendo il contratto pari o superiore all’anno continuativo.

L’importo maturato a titolo di TFS fino a quella data viene considerato come montante di base, al quale si sommano le quote di TFR accumulate tra il 31 maggio 2000 e la conclusione del rapporto di lavoro.

Lasciare il TFR in azienda: i vantaggi

Una grossa fetta di italiani pensano ancora che lasciare il loro TFR in azienda sia la scelta più giusta, soprattutto per la sua semplicità e per la percezione di sicurezza che trasmette. In effetti, questa opzione consente al capitale di rivalutarsi annualmente attraverso un meccanismo fisso stabilito per legge: 1,5% fisso più il 75% dell’inflazione. Si tratta quindi di una forma di investimento a basso rischio, che protegge in parte il potere d’acquisto del lavoratore, anche se non sempre riesce a stare al passo con l’aumento effettivo dei prezzi.

Un altro aspetto positivo è la possibilità, in alcuni casi, di accedere al TFR prima della fine del rapporto di lavoro. Questo può avvenire per esigenze specifiche, come spese sanitarie importanti, l’acquisto o la ristrutturazione della prima casa o altri casi previsti dalla normativa. Inoltre, lasciare il TFR in azienda non richiede alcuna decisione attiva: non bisogna scegliere fondi, né occuparsi della gestione dell’investimento. È, insomma, una soluzione comoda e automatica adatta, per così dire, ai più pigri.

Tuttavia, questa scelta presenta anche alcuni limiti da non sottovalutare. Il primo è legato al rendimento: in un contesto economico come quello attuale, caratterizzato da inflazione elevata, la rivalutazione del TFR può risultare insufficiente a mantenere intatto il valore reale del capitale. A ciò si aggiunge la totale assenza di vantaggi fiscali: a differenza di altre opzioni, il TFR lasciato in azienda non permette di usufruire di deduzioni fiscali o agevolazioni. Infine, per quanto tutelato dalla legge, il TFR resta comunque legato alla solidità dell’azienda. In caso di difficoltà finanziarie dell’impresa, il rischio di non recuperare tempestivamente quanto maturato non è da escludere del tutto.

Fondo pensione: la scelta per chi pensa al futuro

Chi guarda al lungo termine e intende costruirsi una pensione integrativa, spesso considera il fondo pensione come la soluzione più efficace per valorizzare il proprio TFR. Uno dei principali motivi che spingono in questa direzione riguarda i vantaggi fiscali: i versamenti ai fondi pensione sono deducibili dal reddito fino a un massimo di 5.164,57 euro l’anno, il che si traduce in un risparmio immediato sull’IRPEF che può arrivare fino al 43% per chi si trova nelle fasce di reddito più alte.

Oltre al beneficio fiscale, i fondi pensione offrono una gamma diversificata di linee di investimento, da quelle più prudenti e garantite a quelle più dinamiche e azionarie. Questo permette di scegliere un profilo coerente con i propri obiettivi e la propria tolleranza al rischio, puntando a rendimenti potenzialmente ben superiori rispetto a quelli del TFR lasciato in azienda, soprattutto nel lungo periodo. Un altro punto a favore è la gestione professionale: i fondi pensione sono amministrati da società specializzate e vigilati da autorità indipendenti come la COVIP, che ne garantiscono la trasparenza e la correttezza.

Dal punto di vista pratico, i fondi pensione sono anche estremamente flessibili e portabili: se si cambia lavoro o settore, non è necessario fare nulla, perché il fondo continua ad accumulare quanto versato, senza perdere alcun diritto maturato.

Naturalmente, ci sono anche degli svantaggi. Il primo è il rischio di mercato: a seconda della linea di investimento scelta, il capitale può essere soggetto a oscillazioni, soprattutto nel breve periodo. Inoltre, i fondi pensione sono pensati per il lungo termine e non garantiscono un accesso anticipato semplice. Esistono possibilità di riscatto anticipato, ma solo in circostanze particolari, come gravi motivi di salute o disoccupazione prolungata. Infine, va considerata la presenza di costi di gestione, che, sebbene generalmente contenuti, possono comunque incidere sul rendimento finale se non tenuti sotto controllo.

Polizze assicurative: sicurezza sì, ma con dei limiti

un piano assicurativo e di accumulo che parte con il proprio tfr
Strumenti ibridi che offrono una garanzia sul capitale e la possibilità di tutelare i propri cari in caso di imprevisti

Le polizze assicurative a fini previdenziali, come quelle di ramo I e III, rappresentano una soluzione intermedia tra il fondo pensione e il TFR in azienda. Offrono una certa protezione del capitale, rendendole ideali per chi cerca stabilità e sicurezza. Alcune garantiscono il capitale versato, altre permettono di scegliere tra diverse linee d’investimento, combinando rendimento minimo e partecipazione ai mercati. Un ulteriore vantaggio è la possibilità di designare beneficiari, con trasmissione diretta del capitale in caso di premorienza.

Tuttavia, non mancano i punti critici: costi spesso elevati, benefici fiscali meno generosi rispetto ai fondi pensione e contratti complessi che richiedono l’assistenza di un consulente esperto per essere compresi appieno e non commettere eventuali sviste.

Argomenti