Con il termine “brexit” e con l’accordo raggiunto il 1° gennaio 2020 con i membri dell’Ue, l’Inghilterra ha dato vita a un processo economico, politico e commerciale che ha accompagnato l’intera nazione verso il completo isolamento dall’Unione Europea, con l’intento di riportarla ai “fasti del grande impero” come dichiarato all’ora dall’ormai dimesso Primo Ministro Boris Johnson.
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Ma, a distanza di due anni, è bene domandarsi se sia stata una scelta fatta consapevolmente o a cuor leggero, e se le previsioni sull’economia inglese si siano poi rivelate tali a quelle attese. Certo è, però, che la popolazione insorge sempre più frequentemente negli ultimi periodi, soprattutto per la mancanza di esportazioni nella comunità europea, e a seguire per l’inflazione e l’aumento della disoccupazione.
La banca centrale di Inghilterra, infatti, ha già stabilito che Londra subirà un aumento del 18% per l’inflazione nel primo quadrimestre del 2023, anche se questo fa capo al risultato ottenuto già durante gli ultimi mesi del 2022 dove le percentuali oscillavano tra il 10% e il 13%: ne consegue un lungo periodo di recessione che probabilmente il Regno Unito potrà superare alla fine del 2023.
Lo stato di salute dell’ex impero britannico è tutt’altro che rassicurante: gli effetti dell’aumento dell’elettricità, accompagnato dalla guerra in Ucraina e dal rialzo del costo del denaro, si ripercuoteranno su famiglie e imprese. Secondo la Federation of Small Business “le imprese andranno in contro ad una condizione generale di bancarotta a cui seguiranno licenziamenti e fallimenti commerciali”. La fiducia dei consumatori viene così avvilita tanto da ricorrere alla Food Bank per cercare di arrivare a fine mese e quindi sopravvivere a una economia tempestata da continui turbamenti.