Il Festival di Sanremo 2023 è alle porte e, con esso, anche tutto il sistema economico che lo accompagna. Negli ultimi anni la kermesse canora più amata (e odiata) d’Italia è diventata un modello di business attorno a cui ruotano non solo la musica e il turismo ma anche il giornalismo, il mondo dei social, la moda e molto altro ancora.
Approfondimenti
Per comprendere al meglio l’economia sanremese durante i giorni del festival, diamo un po’ di numeri.
- 50 milioni di euro: la cifra stimata per la raccolta pubblicitaria, in netto aumento rispetto all’anno 2022 (durante il quale era stata raggiunta una somma di 42 milioni di euro);
- 14 le case discografiche presenti: di queste, le tre principali sono rappresentate da Universal Music, Sony Music e Warner Music. Le restanti 11 sono etichette indipendenti tra le quali ritroviamo Bomba Dischi, Woodworm e Sugar;
- 66% lo share della finale 2022: la finale con la vittoria di Mahmood e Blanco ha riportato uno share del 66%, ottimo risultato in aggiunta ai già pregevoli risultati raggiunti nelle altre serate (il cui share medio si attestava intorno al 58%);
- 17 milioni di euro: il costo delle ultime edizioni della kermesse. Una cifra considerevole ma abbastanza in linea con quelle degli scorsi anni;
- 58.000 euro: il rimborso previsto per ciascuno dei team in gara, con una ripartizione di 3.000 euro in favore dell’artista, 50.000 euro in favore del progetto discografico e 5.000 euro in favore dell’organizzazione dei duetti;
- 2,5% il contributo, in percentuale, che le canzoni offrono al mercato discografico italiano: le edizioni guidate da Amadeus, grazie a una notevole apertura nei confronti di artisti più giovani e legati al mondo delle nuove generazioni, hanno permesso al mercato di ottenere una spinta notevolmente positiva in termini economici.
Il Festival di Sanremo 2023 riuscirà a mantenere questi numeri o addirittura a superarli? Per ora, affidiamoci a ciò che prima di tutto conta per la buona riuscita della manifestazione: la musica.