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Reddito di cittadinanza a confronto con il precariato

Il reddito di cittadinanza è stato introdotto come decreto-legge il giorno 28 gennaio dell’anno 2019, come misura di contrasto alla povertà, alla disuguaglianza sociale e alla disparità economica. Sono aumentati progressivamente negli anni i percettori di questo bonus offerto dal Governo italiano, ma sono maggiorati anche i casi di falsificazione della propria condizione economica al fine di percepire ugualmente questo sussidio.

Queste sono condizioni che hanno infastidito l’ideologia politica portandola a divulgare un emendamento, con l’arrivo del 2023, che sancisse la fine dell’erogazione del RDC entro il 2024.

E non solo: sono state apportate modifiche anche ai criteri di valutazione per l’ottenimento o l’annullamento dello stesso. Infatti, il governo Meloni ha pensato di eliminare anche il principio dell’offerta congrua, sul quale si è basato per anni il sistema del RDC.

Inoltre, sono stati ben delineati i raggruppamenti dei percettori del sussidio a seconda dell’età, del nucleo familiare e della presenza o meno di persone con disabilità al suo interno.

Sebbene queste siano le nuove misure già entrate in vigore al 1° gennaio 2023, sorge spontaneo chiedersi se potranno essere la reale risposta al fenomeno del precariato in forte crescita negli ultimi anni. E ci si potrebbe anche interrogare su quanto il Governo si sia concentrato sul RDC tralasciando, di contro, tutte le manovre che potrebbero essere apportate al sistema contrattuale che regola i rapporti di lavoro al fine di renderli più duraturi e più sostenuti da un punto di vista economico.

Indurre i percettori a lavorare è senz’altro il fine ultimo della sospensione del sussidio, ma non deve assolutamente essere una scusante per spegnere il fuoco che arde nel cuore di chi da sempre offre la propria prestazione lavorativa senza esserne giustamente ed equamente remunerato.

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