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Capgemini HNWI: i segreti degli High Net Worth Individuals svelati

Sempre meno HNWI nel mondo.

Con l’acronimo HNWI in linguaggio economico si fa riferimento ai cosiddetti High New Worth Individuals, persone con un patrimonio netto investibile superiore al milione di euro dal quale però è necessario escludere elementi come la loro principale residenza, i beni di consumo e quelli durevoli e gli oggetti da collezione. Si tratta di un gruppo di individui il cui numero si è ridotto enormemente nell’ultimo decennio, a causa in modo particolare dal crollo dei mercati azionari. Vediamo dunque quali sono gli scenari attuali e futuri di questa categoria di privilegiati.

HNWI: cosa dicono gli ultimi dati di Capgemini

A tracciare un quadro generale riferito all’attuale situazione degli High Net Worth Individuals ci ha pensato il gruppo Capgemini nel suo World Wealth Report pubblicato lo scorso 5 giugno 2023. L’azienda, che supporta i business nel loro percorso di trasformazione digitale, ha fatto riferimento ad una diminuzione del 3% del numero di HNWI a livello mondiale nel 2022 (per un totale di 21,7 milioni di persone), con un valore complessivo della loro ricchezza sceso del 3,6% a 83.000 miliardi di dollari. Stando ai dati del report, si tratta del calo più significativo registrato da 10 anni a questa parte (riferito al periodo 2013-2022).

Chi sono gli HNWI in Italia: tutti i loro segreti

Sorge a questo punto spontanea la domanda su chi siano questi individui nel nostro Paese. Partiamo dal presupposto che in generale il grosso del patrimonio degli HNWI è da riferirsi ad aziende di proprietà, che secondo dati Istat in Italia corrispondono ad una percentuale fra il 40 e il 45%. In Italia, storicamente legatissima al settore immobiliare, vede il patrimonio di questi individui legato al mattone per una percentuale compresa tra il 15 e il 25%. Parlando invece del patrimonio degli HNWI legato per esempio ai beni di lusso ci si riferisce ad una percentuale intorno al 10%. Molto vario, per il resto, il patrimonio legato agli investimenti: se consideriamo elementi quali partecipazioni non quotate e altri strumenti di investimento alternativo la percentuale si attesta tra il 20 e il 35%.

Il ruolo dei fattori ESG

Quali sono i fattori determinati dietro a simili dati e quali le possibili soluzioni per chi ha visto il proprio patrimonio ridursi in maniera così considerevole? Non c’è dubbio, innanzitutto, che a generare una situazione del genere sia stato il crollo dei mercati azionari e il generale clima di sfiducia che si respira da anni nell’economia internazionale. Non tutto è perduto, per fortuna: esistono infatti degli strumenti che in questo contesto potranno rivelarsi molto preziosi per qualunque business, come i cosiddetti fattori ESG. Si sta parlando in questo caso di un mix di politiche ambientali (Environmental), Sociali (Social) e di Governo societario (G) che possono permettere alle aziende di sopravvivere in un mondo sempre più attento alle tematiche della sostenibilità, della parità e in generale al benessere della collettività nel suo complesso.

A proposito, sembra che soltanto il 23% degli HNWI abbia dichiarato che i maggiori rendimenti ottenuti siano stati generati da asset legati a fattori ESG. Ad ogni modo, secondo il report di Capgemini solo il 41% degli intervistati ha valutato come fondamentali gli investimenti con un impatto ESG: almeno per il momento, dunque, una valutazione del punteggio ESG non sembra rappresentare una priorità per la maggior parte delle azeiende. La tendenza, tuttavia, potrebbe essere destinata a cambiare molto presto, proprio alla luce delle profonde modifiche in atto nei mercati e della necessità di dimostrarsi il più possibili resilienti per non rischiare di affondare inesorabilmente di fronte alle nuove sfide economiche future.

Un problema di management: il tema delle lacune digitali

Secondo quanto emerge dallo studio pubblicato da Capgemini, dietro determinati tipi di problematiche si potrebbe nascondere un mancato o uno scorretto uso degli strumenti digitali, particolarmente da parte dei relationship manager. Risulta infatti che in media soltanto un dirigente su tre ritenga che la propria azienda abbia un’elevata maturità digitale end-to-end. Per il 45% del campione preso in considerazione, inoltre, il costo per relationship manager è in aumento, particolarmente a causa di inefficienze nella catena del valore della ricchezza.

Una scarsa preparazione digitale ha dunque alla luce di quanto visto fino a questo punto una conseguenza molto precisa: i relationship manager si ritrovano costretti in queste condizioni a perdere gran parte del loro tempo in attività non fondamentali, quando potrebbero in realtà focalizzarsi sulla relazione con i loro clienti e le attività di pre-sales. Servirebbe, in questo contesto, un’unica interfaccia integrata che aiuti dunque i relationship manager a gestire il customer care nella maniera più efficace e proficua possibile. In questo senso, lo sviluppo di una digital workstation potrebbe certamente essere una soluzione utile.

Nel merito della questione Dario Patrizi, Financial Services Director di Capgemini in Italia, ha commentato:

Le società di gestione patrimoniale si trovano a un punto di svolta critico poiché il macroambiente sta imponendo un cambiamento nella mentalità e nei modelli di business per guidare una crescita sostenibile dei ricavi. L’agilità e l’adattabilità saranno caratteristiche fondamentali per le persone che dispongono di un patrimonio netto elevato, in quanto la loro attenzione è orientata alla conservazione della ricchezza. Per rimanere rilevante, il settore dovrà rafforzare il valore, responsabilizzare i responsabili delle relazioni e sbloccare nuove opportunità di crescita. Il loro successo sarà legato alla risoluzione dei problemi relativi all’immaturità digitale nella catena del valore della ricchezza.

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