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Amazon e l’addio allo smart working: come sta cambiando il lavoro a distanza

Un ragazzo in ufficio

Quando a febbraio del 2020 il mondo intero è stato travolto da un evento epocale come la pandemia da Covid-19 molte delle nostre certezze sono state smontate, da un giorno all’altro. Se a lungo siamo stati convinti che esistesse soltanto un modo di lavorare, quello in presenza in ufficio, l’epidemia esplosa nell’epoca di internet ci ha chiarito che, in realtà, forse esistono anche altre soluzioni. Questi anni così difficili hanno dunque spianato la strada allo smart working, una modalità dove i dipendenti non sono più strettamente legati a recarsi fisicamente nel posto di lavoro. Ci si è infatti resi conto che, nella stragrande maggioranza dei casi, è un’opzione altrettanto valida, se non addirittura migliore. Con la fine dell’emergenza sanitaria, tuttavia, qualcosa ha iniziato a cambiare. E così alcune aziende, come Amazon, hanno deciso di dire addio allo smart working.

L’esperienza del gigante dell‘e-commerce di proprietà di Jeff Bezos non è un unicum nel panorama attuale. In questo rinnovato contesto (per fortuna di gran lunga migliore da un punto di vista sanitario!) le cose stanno cambiando per i lavoratori, e non esattamente in positivo. Vediamo più nello preciso cosa sta accadendo.

La richiesta di Amazon

Ecco cosa comporta, anche a livello sociale, il fatto che Amazon abbia scelto di far tornare i suoi dipendenti in presenza in ufficio.
Gli interni di un ufficio

Arriviamo a quello che ci dice la cronaca. Veniamo prima di tutto al messaggio che lo scorso 16 settembre, Andy Jassy, l’ad di Amazon Web Services, ha condiviso con tutti i dipendenti dell’azienda una comunicazione destinata a far discutere:

“Prima della pandemia, non tutti erano in ufficio cinque giorni a settimana, tutte le settimane. Se tu o il tuo bambino eravate malati, se c’era un’emergenza domestica, se eri in viaggio per vedere clienti o partner, o se avevi bisogno di uno o due giorni per finire un lavoro di programmazione in un ambiente più isolato, le persone lavoravano da remoto. Abbiamo sempre compreso tutto ciò, e continueremo a mantenere questo comportamento anche in futuro. Tuttavia, prima della pandemia, non era scontato che le persone potessero lavorare da remoto due giorni a settimana, e questo continuerà ad essere vero anche in futuro: la nostra aspettativa è che le persone siano in ufficio, salvo circostanze straordinarie (come quelle menzionate sopra) o se hai già un’eccezione per il lavoro da remoto approvata dal leader del tuo s-team”.

Jassy ha poi proseguito aggiungendo:

“Riporteremo anche le assegnazioni di scrivanie fisse nei luoghi che erano organizzati in questo modo in precedenza, inclusi i nostri quartieri generali negli Stati Uniti (Puget Sound e Arlington). Nei luoghi in cui prima della pandemia erano presenti postazioni flessibili, come gran parte dell’Europa, continueremo a operare in questo modo. Comprendiamo che alcuni dei nostri colleghi potrebbero aver organizzato la loro vita personale in un modo tale che il ritorno in ufficio cinque giorni a settimana richiederà degli adattamenti. Per aiutare a garantire una transizione graduale, renderemo effettiva questa nuova aspettativa dal 2 gennaio 2025. Il team Global Real Estate and Facilities (GREF) sta lavorando a un piano per gestire le disposizioni relative alle scrivanie menzionate sopra e comunicherà i dettagli man mano che saranno definiti.

Per chi si era ormai abituato a poter lavorare da casa per la maggior parte del tempo, senza tra l’altro che questo minasse la loro produttività, la comunicazione è stata una bella doccia fredda. E il timore di molti è che sia soltanto il primo caso di una lunga serie.

Le proteste

La scelta di Amazon ha mandato su tutte le furie molti dei suoi lavoratori, che avevano trovato nello smart working una soluzione ideale per il loro work-life balance, vale a dire l’equilibrio tra vita lavorativa e vita personale. La presenza in ufficio comporta per i dipendenti una serie di svantaggi, tra i quali gli spostamenti su mezzi propri o su mezzi pubblici per raggiungere il posto di lavoro. Ogni giorno, arrivare in ufficio richiede a milioni di persone di passare ore in automobile o a bordo di autobus e treni e ciò toglie molto tempo a diverse altre attività quotidiane, come la cura dei figli o della casa, senza contare gli hobby.

Interessante in questo senso il commento di Laura, una madre lavoratrice per Amazon, che un’intervista a Fortune ha raccontato che quando era stata assunta durante la pandemia l’azienda non prevedeva in ogni caso che ci sarebbe stato l’obbligo di tornare a lavorare in presenza. Una sorta di promessa, dunque, che alla fine non è stata mantenuta. La donna ha infatti raccontato, delusa:

“Sinceramente, ho perso completamente la fiducia nella leadership di Amazon a questo punto. Ho aggiornato il mio curriculum e il mio portfolio, e sto facendo domande di lavoro su LinkedIn. Sono molto arrabbiata”.

Cambiamenti in atto

In che modo la scelta di Amazon di far tornare i dipendenti al lavoro in presenza potrà minare la solidità dell'azienda? Vediamolo insieme.
Un ragazzo che lavora in ufficio

La decisione dell’azienda è legata ad un nuovo approccio imprenditoriale: se nei quattro anni passati ci si è ritrovati costretti a dare giustamente la priorità alla salute dei lavoratori, ora che il virus non fa più paura sembra che le aziende abbiano di nuovo voglia di mantenere il controllo dei loro dipendenti.

Il lavoro in ufficio, infatti, permette ai responsabili aziendali di controllare con più facilità i loro sottoposti, verificando dal vivo i loro progressi e le loro performance. Il problema principale, tuttavia, è che moltissime persone hanno cambiato la loro mentalità in questi anni di smart working e non sono più disposte a rispettare alcuni obblighi che, per tanti soggetti, non hanno davvero più senso.

Esistono infatti alcuni lavori di ufficio che possono essere svolti in modo persino più produttivo quando le persone restano a casa. Non dovendosi svegliare presto la mattina, per esempio, si possono vantare maggiori energie per affrontare la giornata lavorativa con il piglio giusto.

I dati riportati da Forbes in questo senso parlano chiaro. La Gen-Z e i Millennials, che sono la forza lavoro del futuro, pretendono maggiore flessibilità. Se i datori di lavoro vorranno attrarre i migliori talenti, dovranno necessariamente ascoltare questa loro necessità, o perderanno enormi opportunità.

Togliere la possibilità di lavorare da casa per un presunto “bene della cultura aziendale” significa affermare che l’equilibrio tra vita lavorativa e privata e il benessere dei dipendenti non fanno parte di quella cultura. E questo dovrebbe portare molte aziende, Amazon compresa, a delle profonde riflessioni.

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