Alla luce dell’incremento costante del numero di persone che vivono nei grandi centri urbani (ad oggi la percentuale corrisponde al 57% della popolazione mondiale) e in generale del numero di persone sul pianeta Terra (entro il 2050 dovremmo essere oltre 9 miliardi) gli esperti si interrogano sulle modalità in cui potremo sviluppare forme di sostentamento che non solo siano efficaci, ma che siano anche sostenibili. Va da sé, infatti, che con l’aumentare della popolazione si incrementa di conseguenza anche il fabbisogno di risorse alimentari. Ebbene, l’agricoltura verticale potrebbe essere la soluzione ad alcuni dei nostri problemi. Ma di che cos’è e quali sono i suoi vantaggi? Scopriamolo insieme.
Approfondimenti
Cos’è l’agricoltura verticale
Come suggerisce il nome, si tratta di una forma di agricoltura che non si sviluppa in maniera tradizionale su ampi appezzamenti di terreno ma piuttosto in altezza, attraverso delle speciali serre verticali. Contrariamente alle modalità di agricoltura che gli esseri umani hanno sviluppato nel corso dei secoli, in questo caso si parla di coltivazioni strutturate su molteplici livelli.
A darne una definizione precisa è stato Vertical Farm Italia, che ne ha parlato in questi termini: “Un ambiente chiuso, completamente controllato, indipendente da quello esterno per tutti i parametri ambientali (come umidità, luce, ossigenazione e temperatura”.
Il trend ha iniziato a diffondersi a macchia d’olio indicativamente dal 2008 in poi, grazie alla pubblicazione del libro firmato dal professor Dickson Despommier intitolato “The Vertical Farm: Feeding the World in the 21st Century” dove per l’appunto si andava alla ricerca di soluzioni alternative per poter nutrire la popolazione mondiale del XXI° secolo. Per il resto, nonostante le prime reali sperimentazioni a riguardo risalgano al 1984, le prime vere serre verticali sperimentali sono state costruite nei primi anni 2000 nel Sud-Est Asiatico, mentre si può iniziare a parlare di una loro reale diffusione mainstream a partire dal 2010, con importanti prospettive di crescita future: secondo Global Market Insights, infatti, entro il 2026 il mercato delle vertical farm potrebbe rappresentare un fatturato da 22 miliardi di dollari.
Ma veniamo ai dettagli, per cercare di capire con maggior precisione qual è il loro reale valore e in che modo possono fare la differenza. Si tratta innanzitutto di strutture in grado di accogliere un’intera filiera agroalimentare. La frutta e la verdura che troviamo al loro interno sono coltivate all’interno di strutture iper tecnologiche, con un ecosistema controllato in grado di mantenere a lungo precise condizioni di temperatura, di luce e di umidità.
Quali sono i sistemi di coltivazione più diffusi nelle vertical farm?
Le serre verticali, anche chiamate vertical farm per gli anglofoni, sfruttano essenzialmente tre distinte modalità di coltivazione: l’acquaponica, l’idroponica e la aeroponica.
La coltivazione acquaponica si base su un ambiente circolare che mette in relazione la vita di piante, pesci e batteri. Nel concreto, in tale sistema ognuna di queste specie animali trae beneficio dalle altre: gli scarti prodotti da pesci e batteri vanno ad alimentare le piante, con una circolarità che permette di sfruttare scarti e rifiuti a favore del sistema produttivo.
La coltivazione idroponica, che di per sé ha origini antichissime, permette in estrema sintesi di far crescere le piante fuori suolo, ovvero senza terra ma solo grazie all’acqua, all’interno della quale vengono inserite tutte le sostanze nutritive necessarie per la rapida crescita del vegetale di turno.
Infine, la coltivazione aeroponica prevede che le piante crescano sospese in aria e che le loro radici vengano alimentate attraverso una soluzione nebulizzata di acqua e principi nutritivi.
Quali sono i vantaggi dell’agricoltura verticale?
Non c’è dubbio che un tipo di agricoltura di questo tipo, soprattutto rispetto ai metodi tradizionali, presenti una serie di tornaconti non indifferenti. Prima di tutto, contribuisce alla promozione del concetto di “chilometro 0”, abbattendo i costi di logistica e di trasporto dei prodotti agricoli che, in questo caso, possono essere coltivati ovunque sia possibile installare una farm. Si tratta di un elemento di non poco conto, considerate le prospettive di crescita della popolazione mondiale e quanto sarà difficile coprire il fabbisogno mondiale anche alla luce dell’urbanizzazione e dello sviluppo industriale.
Rispetto alle coltivazioni classiche, inoltre, c’è chiaramente un utilizzo molto più ridotto di pericolosi pesticidi e fitofarmaci, notoriamente dannosi non soltanto per la salute umana ma anche per l’ambiente. In un ambiente controllato, com’è ovvio, è più improbabile che le coltivazioni vengano attaccate da agenti patogeni esterni, afidi e da insetti che ne potrebbero inficiare la crescita.
C’è inoltre, evidentemente, anche un tema di sostenibilità, particolarmente in termini di utilizzo d’acqua: una coltivazione tradizionale è in grado di utilizzare fino al 90% di acqua in più rispetto ad una coltivazione in una serra verticale.
Gli svantaggi: non è tutt’oro quel che luccica
L’agricoltura verticale è dunque la vera svolta per il settore agricolo? Per quanto vanti degli eventi punti di forza già evidenziati non si tratta comunque di un sistema completamente privo di ombre. Partiamo prima di tutto dall’enorme costo dell’installazione degli impianti, che proprio per le loro caratteristiche all’avanguardia non sono certo a buon mercato e che, dunque, rendono difficile l’applicazione di questi principi su larga scala. Inoltre, vale la pena ricordare come non si tratti di una soluzione a emissioni 0: per riuscire a coltivare in una serra verticale sono infatti necessarie importanti quantità di energia. Anche il tema dell’acqua è delicato: per poter far crescere certe coltivazioni all’interno di una green farm è necessario disporre di acqua di alta qualità, non contaminata, non esattamente una passeggiata. Un ultimo punto critico riguarda il prezzo del prodotto finale, generalmente più elevato rispetto a quello di un vegetale cresciuto in un campo “tradizionale”: in una situazione simile, risulta dunque piuttosto complesso rivendere tali prodotti ad un prezzo competitivo che possa essere accessibile ad una sempre più ampia fetta della popolazione mondiale in difficoltà.