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Come calcolare la quota 41: il metodo definitivo per pianificare la tua pensione

Il logo dell'Inps

Quello delle pensioni è ormai da diversi mesi uno dei fronti più caldi del dibattito politico. Uno dei cavalli di battaglia della Lega è l’introduzione, già dall’inizio del prossimo anno, della cosiddetta Quota 41, che potrebbe prendere il posto di Quota 103 che ormai si avvia al tramonto. Quota 41 non è altro che la possibilità, per tutti i lavoratori, di uscire dal mondo del lavoro al compimento del quarantunesimo anno di contribuzione, indipendentemente dall’età anagrafica. 

Si tratta di un’opzione già in vigore da molti anni per determinate tipologie di lavoratori, come i “precoci” e coloro che svolgono attività lavorative usuranti. Una proposta che, oltre ad essere caldeggiata dalla Lega, sembra incontrare anche il “placet” dei sindacati, per i quali però rimane prioritaria l’adozione della soglia dei 62 anni d’età per andare in pensione. 

Va però premesso che l’introduzione di questa misura avrebbe un impatto rilevante sulla spesa pensionistica, come ha avuto modo di ribadire anche l’Inps che in una propria simulazione ha quantificato in 4 miliardi di euro (solo nel primo anno) la maggiore spesa che l’ente previdenziale dovrebbe sostenere, un costo che addirittura, alla fine di un decennio, arriverebbe a toccare quota +9 miliardi. 

Come funziona Quota 41

Il termine “Quota 41” viene usato un po’ impropriamente anche perchè non scaturisce dalla sommatoria dell’età anagrafica con l’anzianità contributiva, come si fa per Quota 103. In Quota 41 l’unico parametro di riferimento è quello relativo agli anni di contribuzione a prescindere dall’età del lavoratore. La via “ordinaria” attualmente in vigore per uscire dal lavoro anticipatamente è il possesso di 42 anni e 10 mesi di contributi versati per i lavoratori e 41 anni e 10 mesi per le lavoratrici. 

Quota 41 è già in vigore da diversi anni, ma si applica soltanto ai lavoratori in possesso di determinati requisiti. L’attuale normativa consente di poter uscire dal mondo del lavoro a coloro che, al 31 dicembre 1995, possono vantare il versamento di almeno 12 mesi di contributi  antecedenti al compimento del diciannovesimo anno d’età. 

Si tratta dei cosiddetti lavoratori precoci che possono uscire anticipatamente dal mondo del lavoro se si trovano in alcune condizioni particolari espressamente previste dalla normativa vigente. E cioè i disoccupati che non percepiscono da almeno tre mesi l’indennità di disoccupazione e coloro che almeno da sei mesi stanno prestando cure ad un familiare entro il secondo grado o al convivente affetto da grave handicap. La stessa possibilità viene anche concessa agli invalidi civili con oltre il 74% di invalidità e ai lavoratori che nel corso della propria carriera hanno svolto (per almeno sette anni negli ultimi 10 anni) attività usuranti o mansioni gravose. 

Inps, quanto costerebbe l’estensione a tutti di Quota 41?

Nel 2021 l’Inps ha calcolato con precisione l’entità dei costi che lo Stato dovrebbe sborsare per estendere a tutti i lavoratori la possibilità di andare in pensione con 41 anni di contributi versati. Secondo le stime dell’ente previdenziale, servirebbero almeno 4 miliardi di euro nel primo anno di “attivazione”. 

Una cifra che supererebbe i 9 miliardi nell’arco di dieci anni. Davanti a questa prospettiva sicuramente “nefasta” per i conti pubblici del nostro paese, anche il governo ha deciso di frenare. Una delle proposte meno costose per le casse dell’ente previdenziale, è giunta dal presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, che ha avanzato l’idea di consentire il pensionamento a 63-64 anni con la sola quota contributiva dell’assegno usufruendo dell’eventuale parte retributiva al compimento dei 67 anni. I maggiori costi per l’Inps, se venisse dato seguito a questa proposta, si risolverebbero in un esborso di 400 milioni. Intanto, però, la Lega sta proseguendo la propria battaglia per l’introduzione di Quota 41 sostenendo che i costi sarebbero differenti e più ridotti rispetto a quelli stimati dall’Inps.  

Quale sarebbe il destino della Legge Fornero?

Qualora il governo dovesse decidere di introdurre la Quota 41, nonostante gli alti costi che l’Inps si troverebbe a dover sborsare, l’attuale normativa che disciplina le pensioni anticipate (basata sui requisiti della Legge Fornero) non avrebbe più senso di esistere. Il requisito dei 41 anni di contributi versati andrebbe ad affiancarsi alla possibilità di lasciare il mondo del lavoro anticipatamente con 67 anni di età e 20 anni di contributi versati (la cosiddetta pensione di vecchiaia). Questa prospettiva avrebbe un costo importante per le casse dell’Inps che dovrebbe sborsare tra i quattro e i cinque miliardi di euro l’anno, ma potrebbe davvero rappresentare una buona opportunità per i lavoratori?

Tenuto conto dell’attuale frammentazione delle carriere lavorative dei giovani lavoratori, raggiungere i 41 anni di contributi versati dai 19 ai 60 anni di età, è tutt’altro che facile. Il numero dei lavoratori che potrebbero realmente beneficiare di Quota 41 sarebbe davvero molto esiguo. L’attuale normativa consente di andare in pensione con 41 anni di contributi senza la necessità di essere lavoratori precoci. L’attuale Quota 103 consente ai lavoratori di uscire dal mondo del lavoro a 62 anni con 41 anni di contributi versati. 

Nei settori in cui le carriere lavorative sono instabili e precarie, il raggiungimento dei 41 anni di contributi versati è molto problematico, anche perchè sono davvero pochi i settori in cui le carriere sono stabili. Soprattutto per le donne e per i lavoratori che svolgono la propria attività in settori dove la continuità lavorativa è assai improbabile, Quota 41 non rappresenterebbe affatto un vantaggio. Il rischio è che questa soluzione possa avvantaggiare solo pochi lavoratori a dispetto dei costi ingenti che l’Inps sarebbe costretta a dover sborsare. 

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