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Quota 41 pensioni: quando arriva e a cosa sta lavorando il governo

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Il governo italiano sta considerando l’implementazione della Quota 41 pensioni come parte di una riforma previdenziale sulle pensioni prevista entro dicembre. L’obiettivo è consentire alle persone di andare in pensione con 41 anni di contributi, indipendentemente dall’età anagrafica.

Questa proposta rappresenterebbe uno step successivo alla Quota 103, un sistema di pensionamento anticipato introdotto dalla legge di Bilancio 2023, che consente di lasciare il lavoro con cinque anni di anticipo, ossia a 62 anni, e 41 anni di contributi versati entro il 31 dicembre 2023.

Quota 41 pensioni: obiettivo importante

In un’intervista a La Stampa, il sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon ha spiegato che il governo ha discusso con i sindacati diverse azioni da adottare, inclusa la possibilità di prorogare la Quota 103 come misura di garanzia. Durigon ha affermato che la Quota 41 è un obiettivo importante per il governo, e che si impegneranno a raggiungerlo entro la fine della legislatura. Ha anche sottolineato che l’introduzione della Quota 41 come parte della Quota 103 rappresenta già un importante primo passo verso questo obiettivo. “A me sta tanto cara e posso garantire che si farà. Se sarà fatta quest’anno o comunque il prossimo vedremo. Ma sia come Lega che come governo vogliamo portare a casa questo risultato“, ha spiegato.

Durigon ha affermato che l’implementazione della Quota 41 pensioni dipenderà dalla disponibilità di risorse e dalla sostenibilità delle misure. Tuttavia, ha assicurato che il governo è determinato a portare a termine questa proposta. Attualmente, ci sono 17.000 persone che hanno già lasciato il lavoro in anticipo beneficiando della Quota 103 con 62 anni di età e 41 anni di contributi. Si prevede che entro la fine dell’anno si raggiunga un numero di uscite compreso tra 40.000 e 50.000.

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Quota 41 pensioni per tutti: pensione con 41 anni di contributi, indipendentemente dall’età anagrafica

Opzione donna e Ape Sociale

Durigon ha commentato anche la cosiddetta “opzione donna”, secondo il senatore della Lega, al 90% resterà, pur essendo uno strumento molto invasivo, che prevede una decurtazione del 30% degli assegni. L’Opzione donna, che consente di andare in pensione a 58 o 59 anni con 35 anni di contributi, è stata soggetta a forti restrizioni da parte del governo lo scorso anno. Anche per il 2023 sono stati imposti requisiti molto restrittivi, limitando l’accesso solo a poche centinaia di donne.

Non è chiaro se saranno allocate risorse per ampliare i criteri. “Sicuramente, già oggi con gli strumenti che abbiamo possiamo dare ristori alle donne anche molto più esaustivi. Stiamo studiando anche questo: dobbiamo capire qual è lo strumento giusto da adottare“. Il governo proseguirà il confronto anche sui lavori gravosi e sulle pensioni complementari.

Infine, l’Ape sociale, che permette di andare in pensione a 63 anni con 30 o 36 anni di contributi per lavoratori fragili o disoccupati, scadrà alla fine dell’anno. Si prevede di rinnovarla, ma ci saranno conferme solo nei prossimi mesi.

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Quota 41 pensioni: in previsione un ampliamento dei criteri d’accesso per “Opzione donna”

Riforma delle pensioni

Il governo Meloni sta pianificando una riforma più ampia per le pensioni al fine di superare la legge Fornero, che tornerebbe in vigore a dicembre allo scadere della quota 103. L’ipotesi di introdurre la possibilità di andare in pensione dopo 41 anni di contributi senza limiti di età è parte di questo progetto. Secondo le stime dell’INPS, questa misura avrebbe un costo di 4 miliardi di euro nel primo anno e raggiungerebbe i 75 miliardi in dieci anni.

Oltre alla quota 41 pensioni, l’esecutivo starebbe anche considerando di riformare gli esodi incentivati, un sistema che permette agli individui di lasciare il lavoro in anticipo. Attualmente, esistono tre strumenti per gli esodi incentivati: il contratto di espansione, l’isopensione e la trattativa privata tra impresa e lavoratore. Il governo intende unificarli e orientarsi verso il primo. Questo strumento permette di uscire cinque anni prima con un’indennità, ma comporta la perdita dei contributi di quei cinque anni e, alla fine, si avrà una pensione più bassa. Inoltre, l’azienda potrebbe dedurre l’importo della Naspi, il sussidio di disoccupazione, dall’indennità dell’esodo incentivato. Quest’ultima proposta ha incontrato molte critiche da chi la ritiene vantaggiosa per le imprese a scapito dei lavoratori. La discussione sulle pensioni rimane aperta. Leggi anche il nostro approfondimento sugli aumenti previsti per le pensioni a luglio.

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