
Siete spaventati dall’idea di istituire un trust? Nessun problema, esiste una soluzione decisamente più semplice a vostra disposizione: stiamo parlando del trust autodichiarato. Si tratta di uno strumento di protezione patrimoniale riconosciuto anche al di fuori dei nostri confini, che per quanto interessante presenta lati positivi e negativi. Ecco dunque che cos’è nello specifico e quando è valido in Italia.
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Cos’è un trust autodichiarato

Diversamente da quanto accade in un trust classico, in un trust autodichiarato il disponente (cioè il soggetto che costituisce il trust) assume anche il ruolo di trustee, vale a dire di amministratore del patrimonio trasferito nel trust.
Detto in altre parole, qui il disponente non trasferisce la gestione dei beni a un terzo, ma la mantiene per sé, pur vincolando il patrimonio a uno scopo specifico o a favore di beneficiari. Questo tipo di trust si distingue per la coincidenza tra disponente e trustee, mentre i beneficiari possono essere terzi o, in alcuni casi, lo stesso disponente.
Validità in Italia e orientamenti giurisprudenziali
Non si tratta di uno strumento privo di ombre, tutt’altro. Per quanto il trust autodichiarato sia valido in Italia, il suo utilizzo è da sempre oggetto di forti controversie. La nostra giurisprudenza ha infatti riconosciuto la legittimità, sempre però a patto che rispetti i requisiti fondamentali previsti dalla Convenzione dell’Aja del 1° luglio 1985 (entrata in vigore nel 1992) e non violi altre norme imperative del diritto italiano, come quelle in materia di successione necessaria o di tutela dei creditori.
A fare chiarezza nel merito della questione, a proposito, è stata anche la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 19376/2017, nella quale Corte d’Appello di Bologna aveva accolto l’azione revocatoria proposta dalla Cassa di Risparmio di Forlì e della Romagna contro un fondo patrimoniale e un trust autodichiarato costituiti da Romano Comandini e Anna Fusai. La Corte aveva rigettato il ricorso dei coniugi, che contestavano l’inefficacia degli atti ai sensi dell’art. 2901 c.c., ritenendo che entrambi fossero stati istituiti per sottrarre beni alla garanzia dei creditori. Sul trust autodichiarato, in cui Anna Fusai era trustee, la Corte aveva specificato che solo il trustee (e dunque non i beneficiari, cioè le figlie) fosse legittimato passivo in un’azione revocatoria, poiché questi ultimi non hanno diritti attuali sui beni. La sentenza aveva inoltre confermato la natura gratuita degli atti, escludendo la necessità di provare il dolo dei beneficiari. In aggiunta, aveva anche accertato la consapevolezza del debitore (Comandini) del pregiudizio arrecato al creditore, supportata da prove presuntive (es. ruolo di socio di maggioranza e fideiussore).
In definitiva, la Corte aveva ribadito che il trust, così come il fondo patrimoniale, produce segregazione patrimoniale, rendendo i beni impignorabili, ma è revocabile se dolosamente preordinato a danno dei creditori, come nel caso di specie.
Differenze con altri tipi di trust
La coincidenza tra trustee e disponente è l’elemento che discrimina questo trust dagli altri tipi di fondi esistenti. In un trust tradizionale, il disponente trasferisce la proprietà dei beni a un trustee terzo, che li gestisce secondo le istruzioni indicate nell’atto istitutivo, a favore dei beneficiari o per uno scopo specifico. Nel trust autodichiarato, invece, il disponente mantiene il controllo diretto sui beni, assumendo il ruolo di trustee. Questa caratteristica lo rende più flessibile, ma al contempo più vulnerabile a contestazioni legali (vedi sopra).
Esistono anche i trust testamentari, che come lascia intendere il nome entrano in vigore solo dopo la morte del disponente, regolando la trasmissione ereditaria dei beni. C’è infine il fondo patrimoniale, che è un istituto tipico del diritto di famiglia italiano e richiede il coinvolgimento di un notaio per la sua costituzione: rispetto a quest’ultimo, va ricordato che il trust autodichiarato può essere istituito con maggiore semplicità, senza formalità notarili obbligatorie, a patto che rispetti i requisiti di validità.
5 requisiti per la validità
La Convenzione dell’Aja e il diritto italiano chiariscono in modo preciso quali sono gli elementi costitutivi necessari per la creazione di un trust autodichiarato. Nella checklist troviamo:
- Un atto costitutivo chiaro e preciso;
- Una segregazione patrimoniale effettiva;
- Uno scopo lecito e non contrario a norme imperative;
- L’identificazione chiara dei destinatari dello scopo;
- Il rispetto delle normative nazionali e internazionali.
Basta la mancanza di anche soltanto uno di questi elementi per determinare la nullità del trust.
Usi pratici del trust autodichiarato
Ma dunque a che cosa può servire, nel concreto, un trust autodichiarato? Questo strumento può rivelarsi utile nello specifico per segregare beni (quali immobili o somme di denaro) per destinarli a esigenze familiari (ad esempio per garantire il mantenimento di figli o coniugi, proteggendoli da creditori personali del disponente). Un’altra opzione è la regolazione della trasmissione di beni in modo controllato, evitando conflitti tra eredi o dispersione del patrimonio. Un trust autodichiarato può anche essere prezioso per chi possiede patrimoni articolati (es. partecipazioni societarie, immobili all’estero e vuole assicurarsi il loro controllo diretto, o ancora per segregare beni per i figli nel contesto di crisi coniugali o divorzi.
Rischi e limiti di questo strumento
Tra le principali problematiche legate ai trust autodichiarati troviamo la potenziale revocabilità da parte dei creditori. Se il trust è istituito con l’intento di sottrarre beni alla garanzia creditoria, può essere dichiarato inefficace tramite un’azione revocatoria: questo discorso è valido particolarmente nel caso in cui il disponente fosse consapevole del danno arrecato ai creditori.
Un altro problema è legato ad eventuali conflitti di interesse e alla loro gestione: va da sé che il disponente, essendo al contempo il trustee, potrebbe venire accusato di mancanza di imparzialità. Nulla vieta, tra l’altro, che l’AdE possa effettuare dei controlli di natura fiscale, in quanto in alcuni casi un fondo simile potrebbe presentarsi come un mezzo per eludere l’Erario.
Domande frequenti
1. Il trust autodichiarato è sempre valido in Italia?
No, perché deve necessariamente rispettare i requisiti della Convenzione dell’Aja e non violare norme imperative italiane, come quelle sulla successione necessaria o la tutela dei creditori.
2. Chi può essere beneficiario di un trust autodichiarato?
I beneficiari possono essere terzi (es. familiari) o lo stesso disponente, purché lo scopo del trust sia lecito e chiaramente definito.
3. Quali beni posso inserire in un trust autodichiarato?
Beni immobili o mobili di qualunque tipo, come denaro, appartamenti, partecipazioni societarie, purché chiaramente identificati nell’atto costitutivo.
4. È necessario un notaio per costituire un trust autodichiarato?
No, ma l’intervento di un notaio può comunque garantire maggiore sicurezza giuridica.
Fonti e riferimenti utili

Per maggiori informazioni vi invitamo a consultare tutte le seguenti fonti:
- Convenzione dell’Aja del 1° luglio 1985, ratificata in Italia con L. 16 ottobre 1989, n. 364;
- Codice Civile Italiano, artt. 2901, 536 e ss. Sentenza Corte di Cassazione n. 19376/2017;
- Consiglio Nazionale del Notariato,
- Agenzia delle Entrate, circolari in materia di trust e imposizione fiscale.