La guerra tra Israele ed Hamas non sembra volgere verso una tregua. Nonostante la risoluzione dell’Onu, i bombardamenti su Gaza non si fermano. Questa guerra sta costando la vita a milioni di palestinesi, la Striscia di Gaza è ormai rasa al suolo e ci vorranno miliardi per la ricostruzione. La guerra sta impattando però anche Israele. Cosa sappiamo della crisi economica Israele e quali sono le ripercussioni a livello geopolitico.
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Crisi economica Israele: il crollo del Pil
Dal punto di vista economico, infatti, questa guerra sta costando molto più degli altri scontri nella storia di Israele. Secondo le stime della banca centrale il costo del conflitto è di circa 67,4 miliardi di dollari e lo sarà fino al 2025. Infatti, nel quarto trimestre dell’anno scorso il Pil è crollato del 5,6%. Nell’ultimo trimestre dell’anno scorso il Pil è crollato del 20%.
Sebbene sia un paese in guerra sin dalla sua fondazione, da circa 75 anni, Israele è sempre stato un paese con un’economia stabile e forte pronta ad un riarmo bellico e tecnologico in poco tempo. Questa volta la situazione sembra essere peggiore. La crisi economica Israele colpisce tutti i settori. In aperto conflitto con Hamas da ottobre 2023, lo stato ebraico sta subendo duri colpi a tutto il sistema economico, dalle imprese edili, ristorazione e soprattutto turismo. Il comparto del turismo è praticamente bloccato da mesi, ed è una grossa parte del Pil israeliano soprattutto nelle grandi città come Tel Aviv e Gerusalemme che sono una meta di fervente turismo giovanile.
I motivi crisi economica Israele
Uno dei motivi della crisi economica Israele è stata la decisione del governo di Netanyahu di reclutare 360mila riservisti, ovvero il 4% della popolazione complessiva. Questo significa che molte persone per arruolarsi hanno provocato carenze nel personale di tutti i settori. Un altro motivo che ha messo in crisi l’economia di Israele è stata la chiusura di tutte le frontiere anche con la Cisgiordania, nei territori occupati ci sono 140mila palestinesi con permesso di lavoro israeliano impiegati nell’industria edile.
Alcuni paesi arabi o che sostengono più o meno indirettamente la Palestina hanno imposto alcune restrizioni allo stato ebraico. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha imposto il boicottaggio delle esportazioni verso Israele sia di merci che di materie prime. Dopo svariate pressioni anche alcuni paesi europei hanno deciso di sospendere alcuni accordi commerciali.
La Francia ha deciso di cancellare la partecipazione di Israele all’esposizione di armi e difesa Eurosatory 2024, in segno di protesta per l’operazione a Rafah. La catena britannica di caffè e panini Pret a Manger ha deciso di ritirare il suo accordo per il franchising con il gruppo israeliano Fox per l’apertura di decine di filiali in Israele. Un’altra catena che ha subito perdite dovute al boicottaggio propalestina è McDonald’s.
Secondo gli esperti, il governo dello stato ebraico non si rende pienamente conto della crisi economica Israele che sta affrontando. Molti temono anche che la guerra a Gaza possa espandersi verso Nord verso il Libano degli Hezbollah e non è detto che l’economia israeliana possa permetterselo nonostante si sia ripresa piuttosto rapidamente in passato con crisi precedenti rendendola un’economia resiliente ma questa guerra potrebbe avere un forte impatto sulla crisi economica Israele in futuro. Se la guerra si espandesse il tasso di crescita invece che tra l’1,5 e il 2%, come attualmente previsto per quest’anno, potrebbe essere contratto del 2 o 3%.
La crisi economica Israele può portare ad un ridimensionamento della qualità della vita dello stato ebraico e un aumento della disoccupazione. Il gettito fiscale diminuirebbe e la spesa pubblica aumenterebbe a causa dei costi della guerra. Il tasso di cambio con il dollaro USA è ora inferiore a 3,6 shekel, mentre inizialmente gli investitori erano ottimisti su una guerra breve e veloce, ora pare che la guerra abbia un orizzonte non chiaro e definito portando al pessimismo degli investitori.
Anche molte startup stanno fuggendo dal paese. Come conseguenza dell’innalzamento dei prezzi anche la benzina è aumentato, il ministro dell’economia ha dovuto cancellare i sussidi sulla tassa sulla benzina a causa degli elevati costi della guerra passando da 6.94 shekels al litro a 8 shekels. Questo ha effetti negativi ovviamente su ogni famiglia israeliana.
La tenuta del governo
La crisi economica Israele rischia di incrinare ancora di più il rapporto tra i cittadini israeliani e il governo di Netanyahu esacerbato lo scorso anno dal tentativo del primo ministro e del suo governo di estrema destra ultra ortodossa di avere un controllo sulla magistratura riducendolo così da organo indipendente a organo sottoposto al volere politico. La riforma della giustizia aveva già sconvolto economicamente il paese e l’assalto a Gaza prolungato ha solo peggiorato una situazione già critica. È probabile che nonostante tutti i sussidi occidentali, soprattutto dagli Stati Uniti (Israele riceve circa 3,8 miliardi di dollari all’anno come aiuto militare), Israele possa subire serie conseguenze economiche.
Molti economisti israeliani sono scettici soprattutto sulla tenuta del governo e sull’abilità di quest’ultimo di affrontare in modo appropriato le difficoltà derivanti da questa guerra.