Anche chiamata la disciplina dei prezzi di trasferimento, il transfer pricing è un meccanismo importante in grado di influenzare le multinazionali e le loro operazioni globali. Si tratta nello specifico di una particolare disciplina che riguarda l’impostazione dei prezzi di beni, servizi e proprietà intellettuali scambiati tra società affiliate situate in diversi Paesi. Il concetto di base che si nasconde dietro al transfer pricing è garantire che le transazioni interne tra affiliate vengano sempre effettuate a prezzi di mercato, come se le parti coinvolte fossero indipendenti. Vediamo dunque più nel dettaglio come funziona e quali tipi di conseguenze ha a livello dei business.
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Il funzionamenro del transfer pricing
Il transfer pricing (che si estende tanto alle transazioni transfrontaliere quanto a quelle nazionali) consente di stabilire i prezzi per i beni e i servizi scambiati tra sussidiarie, affiliate o società controllate in comune che fanno parte della stessa impresa più grande. È importante ricordare che il transfer pricing può portare a agevolazioni fiscali per le imprese, anche se le autorità fiscali potrebbero contestarle, se lo ritenessero necessario.
Ma in che modo, esattamente, viene stabilito un prezzo di trasferimento? Nella maggior parte dei casi, tali prezzi sono un diretto riflesso dei prezzi correnti per quel bene o servizio. Non si dimentichi, inoltre, che il transfer pricing può essere applicato anche alla proprietà intellettuale, che si riferisce tra le altre cose alla ricerca, i brevetti e le royalties.
Si tratta evidentemente di uno strumento prezioso per le aziende, che non di rado strutturano le loro operazioni in diverse giurisdizioni per sfruttare i vantaggi fiscali e operativi ma che, a volte, può portare a situazioni in cui esse riescono a manipolare i prezzi delle transazioni interne, spostando così i profitti verso paesi con aliquote fiscali più basse. L’obiettivo finale, in sostanza, può essere la loro imposizione fiscale complessiva. Ad ogni modo, questo tipo di pratica per la multinazionali resta comunque lecita.
La determinazione del prezzo
Esistono vari metodi per determinare i prezzi di trasferimento: ognuno di essi è volto a garantire la conformità al principio di libera concorrenza. Tra i principali metodi riconosciuti dalle linee guida OCSE ci sono:
- Metodo del confronto di prezzo: confronta il prezzo praticato in una transazione tra entità affiliate con quello applicato in una transazione simile tra entità indipendenti;
- Metodo del prezzo di rivendita: determina il prezzo di trasferimento sottraendo un margine lordo appropriato dal prezzo al quale il prodotto acquistato da un’entità affiliata è venduto a una parte indipendente;
- Metodo del costo maggiorato: aggiunge un margine di profitto appropriato ai costi sostenuti dall’entità venditrice in una transazione tra affiliate;
- Metodo del margine netto della transazione: analizza il margine netto ottenuto da una transazione tra entità affiliate rispetto a margini netti comparabili ottenuti da entità indipendenti;
- Metodo della ripartizione degli utili: suddivide i profitti derivanti da una transazione tra entità affiliate in base a un criterio di allocazione che rispecchi la contribuzione economica di ciascuna parte.
Un esempio pratico: il caso Google
Molto interessante proprio da questo punto di vista è la casistica relativa al gigante del tech Google, il più grande e noto motore di ricerca con sede centrale a Mountain View, in California, negli Stati Uniti. Anche Google, infatti, applica da tempo la pratica del transfer pricing.
Una delle sedi centrali regionali di Google si trova a Singapore, mentre in Australia l’azienda vanta una filiale. Quest’ultima fornisce servizi di supporto alle vendite e al marketing agli utenti e alle aziende australiane. La filiale australiana fornisce al contempo anche servizi di ricerca a Google a livello mondiale. Nell’esercizio 2012-13, Google Australia ha guadagnato circa 46 milioni di dollari di profitto su ricavi di 358 milioni di dollari. Il pagamento delle imposte societarie è stato stimato in 7,1 milioni di dollari australiani, dopo aver richiesto un credito d’imposta di 4,5 milioni di dollari.
Ebbene, quando all’ex capo di Google Australia, Maile Carnegie, venne chiesto perché la multinazionale non avesse pagato più tasse in Australia, la manager rispose che la quota di tasse di Singapore era già stata pagata nel paese in cui Google aveva la sede centrale. Google ha dichiarato pagamenti totali di tasse per 3,3 miliardi di dollari statunitensi su ricavi di 66 miliardi di dollari. Le aliquote fiscali effettive risultano essere del 19%, una percentuale che è inferiore all’aliquota fiscale societaria statutaria del 35% negli Stati Uniti.
Rischi e benefici
Visto e considerato quanto emerso fino a questo punto, risulta evidente come una pratica simile possa certamente presentare degli indubbi vantaggi; al contempo, le aziende dovrebbero conoscere anche le potenziali problematiche ad esso collegata.
Da un lato, il transfer pricing aiuta a ridurre i costi doganali perché permette di spedire merci in Paesi con alti tassi tariffari utilizzando prezzi di trasferimento bassi, in modo da abbassare la base imponibile di tali transazioni. In aggiunta, riducendo le imposte sul reddito e le tasse societarie nei Paesi con alti tassi di tassazione (sovrapprezzando le merci trasferite verso Paesi con tasse più basse) le aziende riescono a ottenere margini di profitto più alti.
D’altra parte, all’interno di una stessa organizzazione possono esserci accesi disaccordi riguardo alle politiche sui prezzi e sul transfer pricing. Inoltre, può essere molto difficile stablire dei prezzi, per esempio, per quanto riguarda la proprietà intellettuale, essendo la sua natura intangibile. Infine, le aziende devono mantenere una documentazione dettagliata per dimostrare la conformità alle normative sui prezzi di trasferimento: si tratta di un compito oneroso che richiede risorse significative.