La Repubblica Popolare Cinese, oggi in mano a Xi Jinping, ha vissuto un lungo periodo di crescita economica che, in apparenza, sembrava essere destinato a non finire mai. Per anni i cinesi sono stati tra i più importanti investiori a livello mondiale, facendo il bello e il cattivo tempo sui mercati. Ad un certo punto, però, la parabola ascendente del gigante asiatico ha avuto una battuta d’arresto. La crescita ha così iniziato piano piano a rallentare, fino agli ultimi eventi che hanno riguardato aziende che pensavamo essere estremamente solide come Country Garden o come lo Zhongrong Group. Che cos’è successo? Proviamo dunque a contestualizzare la crisi della Cina cercando anche di spiegare come il valore dello yuan rispetto al dollaro sia crollato e quali possano essere le indicazioni macroeconomiche in una situazione così delicata.
Approfondimenti
Crollo dello yuan cinese: come ci siamo arrivati?
Sono più di due anni che si parla della crisi della valuta cinese, lo yuan, la stessa moeneta che fino a circa un decennio fa veniva considerata un porto sicuro all’interno del mare burrascoso della finanza globale. Più di recente, però, si è prodotta un’inversione di tendenza che in apparenza sembra essere difficile da risolvere. Il crollo della valuta cinese degli ultimi anni è stata trainata essenzialmente da un’economia in fase di rallentamento e, in parallelo, da una sempre maggiore inflazione. In patria si è cercato di correre ai ripari in maniera non dissimile da quanto accaduto nel Vecchio Continente e da quanto fatto dalla BCE di Christine Lagarde: per cercare di contenere l’inflazione, la Peoples Bank of China (PBoc) si è dunque ritrovata a sua volta costretta ad alzare i tassi di interese. La scelta di mantenere invariato il tasso di riferimento a cinque anni, va detto, è stato allo stesso modo un importante segnale dell’incertezza delle autorità cinesi, spaventate dalla possibile fuga di capitali.
Il boom è finito?
Tutti i segnali economici sembrano insomma andare nella medesima direzione: gli analisi parlano ormai all’unisono di boom cinese sul viale del tramonto. Il tasso di crescita annuale al 5% (mantenuto per 30 anni, eccezion fatta per il 2020, l’anno della pandemia di Covid-19) sembra dunque essere soltanto un lontano ricordo.
Al di là della perdita del valore della valuta nazionale, negli ultimi mesi la Cina si è ritrovata costretta ad affrontare anche altri grattacapi. Basti pensare, ad esempio, che ben cinque banche internazionali hanno tagliato le previsioni sul PIL cinese nel 2023: Xi Jiping non ne sarà di certo contento (per usare un eufemismo) visto che per quanto riguarda il Prodotto Interno Lordo si era fissato l’ambizioso obiettivo del 5% di crescita. Esiste, come se non bastasse, un consenso sempre più diffuso rispetto al fatto che non si tratti di un breve momento di défaillance finanziaria, ma di un vero e proprio punto di svolta per l’economia di Pechino. Particolarmente pessmista, in questo senso, è il quadro dipinto da una prestigiosa rivista come il Wall Street Journal che ha parlato di un paese che sta “annegando nel debito”.
C’è inoltre un ulteriore elemento che complica ulteriormente la situazione, ed è il calo demografico. Nel corso degli ultimi 60 anni, la popolazione cinese non ha fatto altro che crescere, raggiungendo la ragguardevole cifra di 1,4 miliardi di persone. Il 2022, tuttavia, è stato il primo anno in sei decadi in cui la popolazione cinese è scesa. E le previsioni future riguardo alla fertilità nel Paese non sono positive, visto e considerato che alla luce dei tumulti dell’economia la disoccupazione ha nel frattempo raggiunto livelli mai visti prima. Ciliegina sulla torta, a causa delle costanti tensioni geopolitiche con Europa e Stati Uniti le esportazioni sono in calo e i consumi privati (l’38% dell’economia) appaiono ancora fin troppo bassi.
La crisi del mercato immobiliare (e le possibili soluzioni)
Nel caos generale, a complicare la situazione ci si è messa ancha la turbolenza che ha sconvolto il mercato immobiliare locale. La corsa all’investimento immobiliare è stata il principale fattore dietro ad un aumento dei prezzi fuori controllo, con conseguente sviluppo di una bolla che se scoppiasse potrebbe avere effetti molto pericolosi su tutti i mercati internazionali. I recenti crac di Country Garden, di Evergrande e di altri grandi costrutori, sobbissatti da miliardi di debiti accumulati negli anni del grande sviluppo urbano, sono un segnale da non sottovalutare. Le inquietudini degli esperti, a proposito, si basano anche sul fatto che la crisi non sembra essere destinata a rientrare in tempi brevi: proprio alla luce dei problemi economici di cui sopra, le famiglie non sembrano essere particolarmente disposte ad acquistare nuove abitazioni e, in generale, pare che manifestino sempre più inquietudini rispetto al futuro, piuttosto che speranze.
Pechino sta cercando di evitare il disastro, applicando misure draconiane come le restrizioni agli investimenti e i controlli sui prezzi, che però potrebbero non bastare. Piuttosto, secondo quanto dichiarato al Corriere della Sera dal professore Carlo Altomonte, docente di politica economica dell’Università Bocconi di Milano:
Per superare la crisi, Pechino dovrebbe ripensare il proprio modello di welfare, in modo da favorire la ripresa dei consumi delle famiglie, e avviare un processo di liberalizzazioni. Ma non so se il governo è disposto a fare questo passo: sono scelte politiche impegnative. Il rischio è che preferisca aumentare le pressioni nazionalistiche, agitando lo spauracchio della minaccia estera»