Le più recenti analisi dell’Istat, l’Istituto Nazionale di Statistica, parlano piuttosto chiaro: dopo una fase di crescita della produzione nel nostro Paese tra i mesi di gennaio e marzo 2023 (+0,6%) è seguito un calo nel secondo trimestre (-0,4%). Per quanto riguarda l’offerta, l’indice destagionalizzato della produzione industriale è incrementato ad agosto dello 0,2% rispetto al periodo precedente e nella media giugno-agosto è cresciuto dello 0,4%. In parole povere l’Italia sta crescendo di meno rispetto al passato, una condizione che ci potrebbe far pensare ad una fase di recessione imminente. Ma è davvero così? Proviamo a fare il punto della situazione a riguardo.
Approfondimenti
L’Italia a rischio recessione?
La recessione è una fase di declino o contrazione nell’attività economica di un Paese o di una regione. Durante una recessione, ci sono solitamente riduzioni significative nella produzione, nell’occupazione e nel reddito. Questo fenomeno è caratterizzato da diversi indicatori economici negativi, tra cui una diminuzione del Prodotto Interno Lordo (PIL), un aumento della disoccupazione, una diminuzione degli investimenti aziendali e una contrazione della spesa dei consumatori.
Secondo quanto riferito dall’Istat per quanto riguarda l’Italia in particolare stiamo assistendo ad una “flessione sia del settore primario, sia di quello industriale, a fronte di una moderata crescita del comparto dei servizi”. Le premesse, insomma, sembrano esserci praticamente tutte. Istat, tra l’altro, ha anche segnalato come l’aumento della spesa per i consumi delle famiglie nel secondo trimestre del 2023 (causato dall’alta inflazione) è stato accompagnato da un calo dei risparmi, ormai già da diversi trimestri inferiore ai livelli pre-Covid. A peggiorare il quadro, tra le altre cose, è una sostanziale immobilità degli stipendi, che non sono purtroppo stati adeguati al caro vita.
Una situazione comune in tutta Europa
Quando si dice “mal comune, mezzo gaudio”. Tale fase di rallentamento evidente dell’economia non sembra essere una prerogativa dell’Italia, ma una condizione piuttosto comune in gran parte d’Europa. La Comunità Europea a proposito ha riconosciuto i problemi che i Paesi membri stanno affrontando rivedendo al ribasso le sue previsioni di crescita per la Eurozona per il 2023-2024. Particolarmente complessa sembra essere la situazione in Germania, dove ci si attende una notevole contrazione dell’economia. Queste nuove stime, tra l’altro, sono arrivate dall’UE nello stesso periodo in cui il Consiglio ha dovuto dare l’approvazione per l’esborso di una terza tranche di aiuti comunitari all’Italia.
A commentare, con tono mesto, gli ultimi dati sull’economia italiana è stato tra gli altri anche il presidente dell’Unione Nazionale Consumatori, che nel merito della questione si è espresso in questi termini:
Il Governo, invece di continuare a cantare vittoria per la crescita superiore a quella di altri Paesi europei, farebbe bene a preoccuparsi di questo calo, e mettere in campo misure urgenti per evitare che la riduzione venga confermata anche nel terzo trimestre, facendo così entrare l’Italia in recessione tecnica. Se non ci entreremo sarà, con tutta probabilità, per la ripresa dei servizi, grazie al turismo dei mesi estivi, non per niente anche oggi unico comparto a segnare un lieve aumento del valore aggiunto. Insomma, se ci salveremo sarà solo grazie al Bel Paese.
Anche le più recenti valutazioni del Fondo Monetario Internazionale non sono delle migliori. L’istituto finanziario ha infatti tagliato le stime del PIL dell’Italia che crescerà dello 0,7% sia nel 2023 che nel 2024, con un taglio, rispettivamente, pari allo 0,4% e allo 0,2% rispetto alle previsioni che erano state rese pubbliche lo scorso luglio. Si tratta di un taglio più basso rispetto a quello programmatico incluso nella nostra Nota di aggiornamento al documento di economia e finanza (anche chiamato Nadef): il Governo di Giorgia Meloni ha infatti previsto un incremento del Prodotto Interno Lordo pari allo 0,8% nel 2023 e all’1,2% nel 2024, un risultato che alle condizioni attuali sembra essere difficile da raggiungere.
Il problema dell’inflazione
Una delle questioni principali da risolvere per riuscire ad aumentare il PIL è senza ombra di dubbio quello dell‘aumento dei prezzi, che sta scendendo ad un ritmo decisamente troppo lento. L’inflazione alta, come sottolineato anche da Coldiretti, ha conseguenze gravi in modo specifico per il settore agroalimentare, dove i costi della logistica sono arrivati a pesare fino ad un terzo del totale dei prezzi al consumo. L’associazione a riguardo commenta:
In un Paese come l’Italia dove l’88% delle merci per arrivare sugli scaffali viaggia su strada l’aumento di benzina e gasolio ha un effetto valanga sui costi delle imprese e sulla spesa dei consumatori. Uno scenario preoccupante che alimenta l’inflazione e pesa sul carrello degli italiani che hanno speso quasi 4 miliardi in più per mangiare di meno.
Risulta dunque evidente, alla luce dei fatti, come in presenza di un’inflazione ancora molto alta sarà molto complesso riuscire a migliorare il potere d’acquisto delle famiglie, diminuire i costi per le imprese, facilitare le decisioni di investimento ed evitare una politica monetaria restrittiva. Per concludere, le prospettive per l’Italia e per tutta l’Europa, per il momento, non sembrano purtroppo essere delle migliori.