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Petrolio: occasione rialzista nella seconda parte del 2023?

Piattaforma petrolifera al lavoro

La prima parte del 2023 è ormai alle spalle ed è stata caratterizzata da un’inflazione che, sia negli Stati Uniti che in Europa, è rimasta elevata nonostante tutte le principali banche centrali abbiano alzato i tassi di interesse di riferimento. I prezzi del petrolio rimangono sostanzialmente alti, anche dopo lo shock inaspettato della decisione dell’OPEC di inizio di aprile 2023 di tagliare la produzione di greggio che aveva fatto schizzare i prezzi del petrolio sopra gli 81 dollari al barile, raggiungendo i massimi del 2023 dopo essere scesi a quasi 66 dollari al barile. 

Le prospettive future del mercato energetico, secondo l’Opec, sono assolutamente rosee soprattutto per la domanda mondiale di petrolio, che dovrebbe salire ben presto a 110 milioni di barili al giorno nell’arco dei prossimi 20 anni, facendo registrare un’impennata del 23%. A pronunciare queste parole ottimistiche è stato Haitham Al Ghais, uno degli esponenti principali dell’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio (OPEC), nel corso della conferenza inaugurale Energy Asia che si è svolta a Kuala Lumpur

Secondo Al Ghais, il petrolio sarà una fonte energetica assolutamente “insostituibile” anche per il prossimo futuro e rappresenterà ancora “il 29% del mix energetico”, nei prossimi due decenni. Una tesi che fa a pugni con la stima effettuata solo poche settimane fa dall’Agenzia internazionale per l’energia (AIE), che prevede un forte rallentamento della domanda annua da 2,4 milioni di barili già nella seconda parte del 2023 fino ad arrivare a 400.000 barili al giorno nel 2028. 

Al momento, la quotazione del Brent si attesa attorno ai 78 euro, ma la decisione dell’OPEC di tagliare la produzione potrebbe diventare, anche nella seconda parte dell’anno, un catalizzatore per la crescita dei ricavi delle società petrolifere. Sicuramente è stata una decisione che ha sorpreso gran parte degli analisti e ha rappresentato una brutta batosta per l’inflazione e per i consumatori. Sicuramente è una notizia che ha rinfrancato lo spirito dei principali produttori di petrolio che avranno l’opportunità di registrare maggiori entrate fintanto che i prezzi del petrolio rimarranno alti.

I tagli alla produzione annunciati da Arabia Saudita e Russia

Il 3 luglio Arabia Saudita e Russia hanno annunciato ulteriori tagli alla produzione di petrolio per complessivi 1,5 milioni di barili al giorno. L’Arabia ha deciso di prolungare anche ad agosto il taglio alla produzione petrolifera di 1 milione di barili al giorno, facendo intendere che questa decisione potrebbe essere estesa anche per i mesi successivi. La produzione giornaliera si fermerà, quindi, a 9 milioni di barili giornalieri. Anche la Russia ha preannunciato un taglio alla produzione pari a 500 mila barili al giorno. Una decisione che è mirata a stabilizzare i mercati e ad evitare che le scorte si accumulino in maniera copiosa. 

Secondo Equita “l’Opec+ produce circa il 40% del greggio mondiale e ha in atto tagli per 3,66 milioni di barili al giorno, pari al 3,7% della domanda globale”. La decisione di tagliare la produzione è stata fortemente criticata dagli analisti per il rischio di gettare benzina sul fuoco dell’inflazione, frenando la fragile ripresa economica in atto. I mercati, in un primo momento, hanno accolto la decisione dell’Opec facendo rialzare il prezzo del petrolio, ma successivamente i prezzi si sono ridimensionati scivolando in area 70 euro per il Wti e 75 euro per il Brent. 

I futures sul petrolio hanno fatto registrare una netta flessione da inizio anno, con il Wti in ribasso di circa l’11% mentre il Brent ha perso il 12% nei primi sei mesi del 2023

Le previsioni  degli analisti sul mercato

Secondo i principali player del settore, come l’Opec e l’IEA, nel breve periodo potrebbe verificarsi un gap importante tra domanda e offerta, anche se il mercato continua ad essere perplesso sulle prospettive della domanda anche per via della frenata in atto di alcune economie mondiali, soprattutto quella della Cina. 

Secondo Equita, il Dipartimento dell’Energia (DOE) degli Stati Uniti acquisterà ulteriore greggio per la Strategic Petroleum Reserve (SPR). Nella seconda parte dell’anno, potrebbe acquistare circa 12 milioni di barili. Gli analisti della Sim milanese ritengono credibile l’ipotesi che il petrolio chiuderà il 2023 attorno agli 80 dollari al barile. Uno scenario che ben si allinea con la frenata della domanda e il calo della produzione preannunciato dall’OPEC+.

Le incognite da sciogliere

Ciò che appare certo è che gli investitori continueranno a recitare un ruolo di basso profilo fino a quando le scorte petrolifere non si ridurranno in maniera sostanziale. Nei primi giorni di luglio, secondo un sondaggio Reuters, le scorte di petrolio greggio e benzina negli Stati Uniti hanno fatto registrare una evidente flessione, mentre le scorte di distillati sono aumentate. 

A luglio si andrà verso il picco della stagione dei viaggi negli Usa e la riduzione delle scorte potrebbe spingere i prezzi del petrolio verso l’alto. Bisogna però fare i conti con una domanda che rimane fiacca in Cina e sui tassi di interesse che, verosimilmente, aumenteranno nei mesi a venire sia in Europa che negli Usa per domare una inflazione che non vuol saperne di scendere. Le incognite rimangono tante e tali che, fare previsioni certe, appare davvero problematico. 

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