La nuova strategia per risollevare l’economia italiana tracciata dal Governo Meloni sembra prescindere inesorabilmente dalla Nuova Via della Seta. Il nuovo governo ha scelto di abbracciare a 360 gradi il campo atlantista preferendo non rinnovare gli accordi con la Cina sulla “Via delle Seta” che scadranno nel 2024 per tranquillizzare e tornare ad avvicinarsi a Washington.
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Alla luce di questa decisione, che di fatto stronca ogni partnership economica sul piano infrastrutturale con il Dragone, quali potrebbero essere le conseguenze per il nostro paese? La rottura di questo patto potrebbe essere denunciato come infrazione del contratto che stipulò il governo Conte?
Quali conseguenze sul piano legale e politico?
Secondo la tesi espressa dalla professoressa della Luiss, Silvia Menegazzi, l’accordo con la Cina non si può configurare come un vero contratto e “quindi non ci sono implicazioni e doveri legali che le due parti devono rispettare. Ma è soprattutto un accordo fra le due parti che ha un significato soprattutto politico per la Cina e per l’Italia”. Insomma, se questo atto di discontinuità non crea grattacapi all’Italia dal punto di vista legale, può avere ripercussioni non indifferenti sul piano squisitamente politico. Le relazioni politiche fra Cina e Italia potrebbero deteriorarsi con conseguenze che al momento sono imprevedibili.
Giorgia Meloni ha preferito non rimanere nell’orbita d’influenza cinese per non guastare i rapporti con la Casa Bianca, ma dovrà comunque cercare di non rompere definitivamente i rapporti con Pechino per non compromettere il business di tante aziende italiane. Se la Via della Seta è ormai in archivio, il governo attuale intende però sottoscrivere altri accordi commerciali il Dragone, ma senza vincoli particolarmente stringenti.
L’interruzione dei rapporti con la Cina sul piano della Via della Seta non è dovuta solo a motivi prettamente politici. Le aziende italiane ambiscono ad accaparrarsi una fetta di torta di quel grandioso piano lanciato da Biden per rilanciare l’economia dei paesi atlantisti. Un piano molto ambizioso da 6,8 trilioni di dollari di cui potranno fruire solo gli alleati più affidabili.
Quali ripercussioni per il nostro paese?
Uscire dalla Via della Seta quali ripercussioni avrà sull’economia del nostro paese? Secondo l’analista della Merics, Francesca Ghiretti, gli svantaggi sono trascurabili, anche se qualche piccola ripercussione a livello commerciale potrebbe esserci: “Non mi aspetto che questi rischi economici siano enormi – ha commentato l’analista della Merics – forse potremmo vedere azioni contro, ad esempio, i marchi di lusso in Cina tramite boicottaggio. Dipenderà dal fatto se la Cina veda tutto questo come qualcosa che danneggia i suoi interessi fondamentali o meno. Non credo che vedremo risposte dure (da Pechino)”.
Sulla nuova Via della Seta, l’intento di Giorgia Meloni è quello di defilarsi ma senza guastare le relazioni con la Cina, evitando però la condivisione di un piano strategico. “Le valutazioni sono in corso – ha dichiarato la presidente del Consiglio al Senato – c’è tempo per modificare, la questione va maneggiata con delicatezza, cura e rispetto e anche coinvolgendo il Parlamento: su questioni così delicate meglio non premere per accelerare ma per trovare soluzioni le più valide possibili nella difesa del nostro interesse”.
Nel suo intervento la presidente del Consiglio ha comunque voluto sottolineare che l’Italia è l’unico Paese in Europa «all’interno della Via della Seta». Una tesi che però viene smentita dai fatti.
L’Italia e la Via della Seta
La Belt and Road Iniziative (Bri) è un progetto infrastrutturale che nacque nel 2013. L’obiettivo voluto dal presidente cinese Xi Jinping, prevedeva la realizzazione di un complessa rete infrastrutturale, via terra e via mare, ma anche la nascita di nuove partnership strategiche ed economiche con paesi asiatici, africani ed europei.
Il 23 marzo 2019 fu l’allora premier, Giuseppe Conte, a stipulare con Xi Jinping il “memorandum of understanding” sulla Nuova Via della Seta. L’accordo venne accolto con molta preoccupazione da parte dell’Unione europea e degli Stati Uniti, anche per il timore che la Cina potesse espandere il proprio business in Italia diventando sempre più influente anche sul piano politico.
Quest’accordo, però, non ha avuto un impatto rilevante sull’economia del nostro paese e ha mantenuto molto meno di quanto aveva promesso. La nuova presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, non ha mai nascosto il proprio ostracismo verso questo patto, giudicandolo un «errore», mentre a novembre il ministro della Difesa, Guido Crosetto, aveva già ritenuto «improbabile» il rinnovo dell’accordo, una volta scaduto.
Gli altri paesi che hanno siglato il memorandum of understanding
Il nostro paese non è l’unica nazione che ha stretto accordi con la Cina siglando il “memorandum of understanding”. Secondo quanto rivelato dal Green Finance & Development Center della Fudan University di Shanghai, sarebbero addirittura 17 i Paesi Ue che hanno siglato questo patto con la Cina per la realizzazione di infrastrutture. Fra i 17 paesi ci sarebbero anche Croazia, Repubblica Ceca, Grecia, Lussemburgo, Polonia, Portogallo, Romania, Slovacchia e Slovenia.
Anche altri paesi che non fanno parte dell’Ue rientrano a pieno titolo nella “Via della Seta”, come Serbia, Bosnia ed Erzegovina, Albania, Montenegro, Macedonia, Turchia e Ucraina. Fra i paesi che fanno parte del G7, l’Italia è l’unico paese che ha siglato un memorandum of understanding sulla Via della Seta, mentre Usa, Regno Unito, Francia, Germania, Canada e Giappone non hanno mai accettato di siglare alcun accordo con il Dragone.