Nel pieno di ottobre 2025, l’azione di vigilanza dell’Agenzia delle Entrate ha alzato l’asticella sui contribuenti in regime forfettario, con l’invio di oltre 4.000 schemi d’atto indirizzati a chi, dalle analisi dei dati dichiarativi, risulta potenzialmente colpito da cause ostative riferite all’anno d’imposta 2021. L’obiettivo dichiarato è accompagnare i contribuenti verso una compliance fiscale preventiva, fondata sul contraddittorio e sulla regolarizzazione spontanea prima dell’accertamento vero e proprio. In questo quadro, ricostruire correttamente i redditi, comprendere i presupposti normativi e conoscere cosa accade in caso di inerzia o difesa è essenziale per evitare la decadenza dal regime agevolato e l’applicazione delle regole ordinarie con impatto rilevante su imposte e contribuzione.
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Perché sono partiti i controlli e come viene valutata la causa ostativa
La stretta di ottobre 2025 si inserisce in una strategia di presidio “a monte”, che mira a intercettare le anomalie prima che diventino contenzioso. L’Agenzia delle Entrate ha incrociato i flussi delle Certificazioni Uniche 2021, le dichiarazioni dei sostituti d’imposta e i quadri LM dei Modelli Redditi, isolando le posizioni in cui risultano redditi di lavoro dipendente o assimilati superiori a 30.000 euro nel 2020.
Il fulcro normativo è la lettera d‑ter) dell’art. 1, comma 57, Legge n. 190/2014, che preclude il forfettario a chi, nell’anno precedente, abbia percepito redditi di cui agli artt. 49 e 50 del TUIR oltre la soglia fissata. La ratio è evidente: evitare che un regime pensato per microimprese e autonomi con struttura leggera diventi una scorciatoia per contribuenti che mantengono una fonte di reddito da lavoro stabile e significativa. In altre parole, il legislatore tutela l’agevolazione dove essa funge da “ponte” verso l’imprenditorialità minore e non da cumulo con un’occupazione già capiente.
Un elemento chiave, spesso decisivo in sede istruttoria, è la cessazione del rapporto di lavoro nell’anno precedente: se il rapporto è terminato, la causa ostativa non opera. Questo perché la perdita dell’occupazione costituisce un presupposto coerente con lo spirito del regime, che ammette l’avvio o la prosecuzione dell’attività autonoma senza penalizzazioni. Va poi ricordato che, con la Legge di bilancio 2025 (art. 1, comma 12, Legge n. 207/2024), il limite è stato innalzato a 35.000 euro ma solo per il periodo d’imposta 2025: la modifica non ha effetto retroattivo, dunque per il 2021 resta ferma la soglia dei 30.000 euro.

Il processo di controllo
Operativamente, la verifica segue tre passaggi logici:
- controllo dell’esistenza di redditi di lavoro dipendente o assimilati nell’anno precedente;
- confronto dell’ammontare con la soglia applicabile (30.000 o, limitatamente al 2025, 35.000);
- valutazione dell’eventuale cessazione del rapporto.
È da questo algoritmo – alimentato da banche dati e interconnessioni telematiche – che scaturiscono le comunicazioni di compliance e, nei casi più criti, gli schemi d’atto preventivi all’accertamento. Per i contribuenti, ciò implica la necessità di verificare tempestivamente la propria posizione e, se del caso, predisporre la documentazione idonea a dimostrare il diritto a permanere nel regime agevolato.
Dichiarazioni e ricostruzione dei redditi: CU, Quadro RC e rapporti particolari
Il cuore pulsante della ricostruzione reddituale è il Quadro RC del Modello Redditi Persone Fisiche, nel quale confluiscono gli importi riportati nelle Certificazioni Uniche rilasciate dai sostituti d’imposta (datori di lavoro, enti previdenziali e pensionistici). Qui si gioca la partita della soglia: errori, duplicazioni o omissioni possono alterare il confronto con i 30.000 euro e far emergere scostamenti solo apparenti.
Ecco perché la coerenza tra CU, Quadro RC e prospetti paga è determinante. Se, nello stesso periodo d’imposta, il contribuente ha avuto più rapporti di lavoro, occorre muoversi con perizia: quando il lavoratore ha chiesto all’ultimo datore di lavoro di effettuare il conguaglio fiscale tenendo conto dei redditi precedenti, la relativa CU dell’ultimo datore riassume tutto il percorso e può bastare a rappresentare correttamente l’ammontare complessivo. In mancanza di tale richiesta, invece, il contribuente deve sommarle autonomamente, riportando nella dichiarazione il totale dei redditi percepiti e delle ritenute.
I casi particolari
Un capitolo delicato riguarda i redditi corrisposti da soggetti non qualificabili come sostituti d’imposta, ad esempio alcune prestazioni domiciliari come colf, badanti o baby‑sitter retribuite da privati. In queste ipotesi, il datore domestico non rilascia la Certificazione Unica, per cui i dati vanno ricostruiti tramite documenti come contratti, ricevute, bonifici, attestazioni di pagamento. Resta, in ogni caso, l’obbligo del datore domestico di predisporre una attestazione annuale con retribuzioni complessive, contributi e indennità maturate, secondo prassi e principi contrattuali del lavoro domestico: una garanzia di trasparenza a tutela di entrambe le parti.
Sul piano pratico, conviene verificare che tali attestazioni siano allineate e che i flussi siano stati correttamente riportati nel Quadro RC. Qualsiasi disallineamento alimenta i sistemi di analisi del rischio e può far scattare inviti al chiarimento o comunicazioni di compliance. In questa fase, l’accuratezza paga: controlli incrociati, archiviazione digitale dei documenti e riconciliazioni tra CU, buste paga e accrediti bancari contribuiscono a prevenire contestazioni. Per chi opera nel regime forfettario, la prova documentale della corretta dichiarazione dei redditi di lavoro percepiti nell’anno precedente non è una formalità, ma una condizione essenziale per dimostrare la legittimità dell’accesso – o della permanenza – nel regime di favore.

Questionari, schemi d’atto e difesa: cosa accade e quali scelte fare
Già nel 2024 molti contribuenti selezionati per anomalie riferite al 2021 hanno ricevuto questionari conoscitivi. Le mancate risposte hanno innescato accertamenti formali e la predisposizione di schemi d’atto di contestazione, che oggi, con l’intensificazione dei controlli, stanno arrivando in numero più consistente. Lo schema d’atto, previsto dall’art. 6‑bis della Legge n. 212/2000 (Statuto dei diritti del contribuente), è un atto endoprocedimentale: anticipa i contenuti dell’accertamento e consente al contribuente di esercitare il diritto al contraddittorio presentando osservazioni, chiarimenti e documenti entro il termine indicato. La finalità è duplice: coinvolgere attivamente il contribuente e prevenire l’emissione di atti infondati o viziati. Tuttavia, il mancato riscontro viene valutato come una conferma presuntiva dell’anomalia, consentendo all’ufficio la ricostruzione d’ufficio dei redditi e il ricalcolo delle imposte secondo il regime ordinario, con conseguente decadenza dal forfettario per il periodo interessato.
L’impatto della misura
Le ricadute economiche non sono marginali: la riliquidazione comporta l’obbligo di versare IVA, IRPEF e contributi previdenziali, oltre alle sanzioni per infedele dichiarazione previste dal D.Lgs. n. 471/1997. L’ufficio trasmette uno schema d’atto di accertamento, invitando a fornire memorie prima dell’avviso definitivo; in assenza di definizione o adesione, il carico fiscale cresce sensibilmente per effetto della perdita dell’aliquota sostitutiva del 15% (o 5%) e della ricostituzione del prelievo ordinario.
Di fronte a una comunicazione o a uno schema d’atto, il contribuente ha tre strade:
- rispondere al questionario o alla richiesta di chiarimenti, allegando prove della cessazione del rapporto di lavoro o della non superata soglia dei 30.000 euro;
- presentare una dichiarazione integrativa avvalendosi del ravvedimento operoso ai sensi dell’art. 13, D.Lgs. n. 472/1997;
- partecipare al contraddittorio nei termini, formulando osservazioni puntuali e, se opportuno, chiedendo l’accertamento con adesione.

Come “difendersi” da eventuali verifiche
Sul piano probatorio, la difesa più incisiva è documentare, in modo puntuale, la cessazione del rapporto di lavoro in tempo utile: la norma non attribuisce rilievo alla mera marginalità o occasionalità dei redditi di lavoro dipendente in assenza di cessazione, per cui l’unica via alternativa è dimostrare l’inesattezza o incompletezza dei dati su cui si fonda l’anomalia. In prospettiva, questa stagione di verifiche segnala l’avanzata dell’accertamento digitale: un ecosistema in cui l’elaborazione dei dati rende la prevenzione fiscale più tempestiva, il dialogo col contribuente più strutturato e il ruolo dei professionisti – chiamati a trasformare la complessità del dato in governance – ancora più centrale.