La parola “sostenibilità” fino ad ora si è coniugata ben poco con le valute digitali. Le operazioni dimining di criptovalute sono decisamente costose e dispendiose dal punto di vista energetico e hanno suscitato enormi polemiche tra le associazioni ambientaliste. I cosiddetti “minatori” di criptovalute stanno valutando soluzioni alternative ed ecosostenibili per produrre criptovalute green in grado di essere “carbon neutral”. Già entro la fine del 2023 potrebbero arrivare, in tal senso, delle novità importanti.
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In Idaho, negli Usa, la società GeoBitmine prevede di soddisfare il suo “mandato ambientale, sociale e di governance” utilizzando il calore disperso dai suoi computer per coltivare colture in una serra. In Texas, i minatori di criptovalute potrebbero impiegare la stessa energia prodotta per realizzare progetti di energia eolica e solare. Negli Stati Uniti i minatori di criptovaluta stanno cercando di rifarsi l’immagine agli occhi di politici e ambientalisti, ben consapevoli di quanto sia dispendiosa l’attività di mining dal punto di vista energetico.
L’impatto delle criptovalute sulle emissioni
Per dare una dimensione del reale impatto ambientale della produzione di criptovalute basta pensare che la produzione di Bitcoin consuma ben 127 terawattora (TWh) all’anno, più di molti paesi, inclusa la Norvegia. Negli Stati Uniti, si stima che l’attività delle criptovalute emetta da 25 a 50 milioni di tonnellate di CO2 ogni anno, alla pari delle emissioni annuali del gasolio utilizzato dalle ferrovie statunitensi.
La decarbonizzazione dell’industria delle criptovalute rimane quindi una vera e propria piaga che richiede un intervento urgente. L’industria delle criptovalute, per quanto si stia sforzando di mitigare l’impatto ambientale, non è ancora riuscita a vincere le sfide con la decarbonizzazione.
Bitcoin, insieme a molte altre criptovalute, rappresenta oggi uno degli asset più interessanti per molti investitori, in grado di far guadagnare o far anche perdere tanti soldi dall’oggi al domani in un mercato in cui i valori salgono e scendono rapidamente e con ampi margini.
Ma ciò che preoccupa gli ambientalisti e il mondo della politica è l’enorme quantità di elettricità utilizzata per generare bitcoin e altre valute simili. Energia che spesso proviene dai combustibili fossili e che quindi ha un impatto importante sulla crisi climatica.
Mentre tanti operatori finanziari speculano sul mondo delle criptovalute, gli attivisti ambientali lanciano il grido d’allarme per l’elevato impatto sull’ecosistema che hanno le loro scommesse finanziarie.
Alcuni sperano di poter convincere le istituzioni a cercare di ridurre l’impatto del crypto-mining. Le stesse associazioni ambientaliste con Greenpeace in testa, hanno elogiato l’operato di Fidelity che ha lanciato la propria piattaforma crittografica, dando un esempio mirabile.
Poiché le criptovalute come il bitcoin non sono centralizzate, non esiste una vera e propria autorità che sia in grado di verificare le transazioni. Invece, coloro che partecipano alla rete bitcoin “minano” o competono per generare più valuta. I più bravi vengono ricompensati finanziariamente con nuove criptovalute che sono le vere responsabili delle emissioni di gas serra.
L’algoritmo di consenso PoW utilizzato per verificare le transazioni richiede grandi quantità di elettricità che spesso viene prodotta bruciando combustibili fossili, emettendo anidride carbonica e altri gas serra che contribuiscono pesantemente al riscaldamento globale.
Esistono però delle criptovalute più rispettose dell’ambiente. Negli ultimi anni l’impatto ambientale delle criptovalute è stato ridotto con lo sviluppo e il successo di molte alternative a Bitcoin. Le “altcoin”, ad esempio, consumano meno elettricità e non dipendono dal mining.
Ecco quali sono le critpovalute più green
Esistono nuovi token che hanno un buon potenziale di sviluppo e rappresentano un investimento più ecologico.
Ecoterra (ECOTERRA), ad esempio, è un progetto ecologico appena lanciato che offre ricompense per il riciclaggio. Tamadoge (TAMA), invece è un nuovo progetto legato alla catena Ethereum. Fra i token che vanno segnalati anche Battle Infinity (IBAT) (un nuovo progetto Binance Smart Chain) e Hedera Hashgraph (HBAR), la criptovaluta più rispettosa dell’ambiente di UCL Research. In questa speciale lista vanno anche menzionate Algorand (ALGO) (prodotta in collaborazione con ClimateTrade) e Tezos (XTZ), valuta pioniera delle blockchain Proof of Stake. Polkadot (DOT) che rappresenta invece la Criptovaluta a più bassa impronta di carbonio, mentre Cardano (ADA) è stata prodotta in collaborazione con Veritree nella campagna di riforestazione.
I criteri che contraddistinguono le criptovalute Green
Esistono diversi criteri per accertare quali criptovalute siano ecologicamente compatibili dal punto di vista tecnico. Innanzitutto il consumo di elettricità di ciascun nodo blockchain all’anno. Un criterio che premia soprattutto Cardano. Per quanto concerne il consumo totale annuo di elettricità su tutti i nodi, Polkadot è sicuramente la valuta digitale che eccelle sulle altre.
Se invece si tiene in considerazione il calcolo di un wattora per transazione, Hedera Hashgraph e Solana hanno il valore migliore. Molti progetti crittografici sono stati coinvolti nella lotta al cambiamento climatico e alla deforestazione, tra cui Cardano e Near Protocol. Altri progetti stanno invece donando molti proventi a enti di beneficenza come la Croce Rossa.
Si tratta di passi in avanti significativi verso la creazione di valute digitali meno impattanti sul piano climatico, ma servirà ancora uno sforzo ulteriore da parte di tutti, compreso il mondo politico e ambientalista, per rendere il mining più sostenibile ed eco friendly.