I costi salvataggio Ilva sono cambiati nel corso degli anni, così come l’azienda che è stata battezzata in diversi modi durante la sua produzione siderurgica. Infatti, attualmente la società si chiama Acciaierie d’Italia, dopo essere stata Arcelormittal, Ilva e Italsider. Il cambiamento più significativo nella struttura è arrivato con la sostituzione dell’Altoforno 5 carbon coke in due forni elettrici per la produzione di acciaio e di ghisa.
Approfondimenti
Il polo siderugico ha due sedi: una a Taranto e l’altra a Genova. A oggi in molte testate giornalistiche si utilizza il termine ex Ilva per parlare del Gruppo, con particolare riferimento allo stabilimento di Taranto, mentre si indica la città quando ci si riferisce alla sede genovese. L’industria siderurgica in Italia basata sui grandi centri di produzione inizia la sua storia nel 1965, proprio con l’inaugurazione del polo jonico. Com’è andata in crisi e quali sono i costi vivi che il Paese sta affrontando per quella che si ritiene una risorsa strategica? Facciamo chiarezza.
Costi salvataggio Ilva, quando iniziano
Nel 1989 l’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale 1933-2002) passò alla vendita del Gruppo siderurgico italiano alla famiglia Riva, che ne cambiò il nome da Italsider a Ilva. In realtà era un ritorno alle origini, perché le prime attività siderurgiche italiane si erano denominate Consorzio Ilva già nel 1911. Alla base della vendita c’era la crisi del siderurgico che arrivà agli inizi degli anni Ottanta. Il nome sancì definitivamente la fusione della Finsider con l’Italsider, entrambe in crisi.
Nel 2012 ci fu un’inchiesta della magistratura per verificare la presenza di reati ambientali e di inquinamento durante i processi produttivi. Queste prime inchieste portarono in seguito al maxiprocesso che sarebbe stato noto come Ambiente Svenduto.
Costi salvataggio Ilva durante la vicenda giudiziaria
La vicenda giudiziaria portò al sequestro dello stabilimento e a un procedimento giudiziario parallelo da parte della Corte dell’Unione Europea. Secondo la Corte di Lussemburgo l’Italia fu inadempiente nel ridurre l’inquinamento ambientale e i suoi rischi per la salute dei cittadini, in particolare del vicino quartiere Tamburi di Taranto. Infatti, al Gruppo sarebbero mancati controlli e autorizzazioni, come l’Autorizzazione Integrata Ambientale, accanto agli interventi che la dirigenza avrebbe dovuto portare avanti per la sicurezza nei luoghi di lavoro.
Negli anni – sempre secondo la Corte Europea – l’Italia non inviò i dati per il censimento degli impianti a rischio, prorogando l’elenco precedente e rinnovando solo nel 2009. I costi salvataggio Ilva partirono da qui, perché il Gruppo non riuscì più a produrre le 7 tonnellate di acciaio che produceva con la gestione Riva, arrivando a 3-4 tonnellate all’anno. Il Paese dovette quindi pagare di più l’acciaio che non riusciva a ottenere sul mercato interno, gestire la questione delle sanzioni europee legate all’ex Ilva, pagare i costi del lungo processo e cercare di aiutare il più possibile il polo siderurgico ad affrontare l’emergenza.
Il 26 ottobre 2012 il polo siderurgico tarantino viene commissariato, mentre già nel 2010 era stato approvato dalla Commissione Europea il primo finanziamento per 400 milioni di Euro dalla Banca Europea per gli investimenti (BEI). L’anno successivo l’UE risponde alle rimostranze di cittadini e ONG sulle emissioni inquinanti con un avviso di messa in mora.
Nel 2015 parte ufficialmente il processo Ambiente Svenduto, che arriva alla Corte di Assise di Taranto nel 2017 con le accuse di disastro ambientale, avvelenamento da sostanze chimiche e associazione a delinquere. Il processo porterà a una serie di condanne per la famiglia Riva, che si vide sequestrare beni per 1 miliardo e 300 milioni di euro, utilizzati poi per le bonifiche. IlSole24Ore stima una perdita di 3/4 miliardi di euro all’anno tra il 2013 e il 2018, pari a 1,35% del Pil. Così, tra il 2013 e il 2019 lo Stato perde circa 23 miliardi di euro di Pil.
Secondo Panorama, il Paese avrebbe perso 50 miliardi di euro tra il 1990 e il 2020. Dopo la fine dell’Era Riva, il Governo individua nel colosso indiano dell’industria siderurgica Arcelormittal un acquirente interessante dopo una gara. Il nuovo Governo, però, non ritenne valida la gara ed esplosero le polemiche. Nel 2018 il Gruppo indiano ottiene finalmente la proprietà dell’azienda.
Costi salvataggio Ilva fino al 2022
Nel 2018 la produzione del polo siderurgico jonico arriva a 3,5 tonnellate, ben lontano dall’obbligo di 6 tonnellate che era stato firmato negli accordi. Nel 2021, però, i ricavi aumentano per via della crescita dei costi dell’acciaio, arrivando a 5,4 miliardi di euro. L’impegno dello Stato non si ferma, con altri 680 milioni di euro senza tenere conto degli ammortizzatori sociali per i lavoratori che restano in cassa integrazione e senza contare anche l’intervento di Invitalia per gli investimenti. Il bilancio 2022 riporta 2 miliardi di debiti commerciali.
Nel frattempo, nel 2019 Arcelormittal ha dichiarato la sua intenzione di recedere dal contratto di cessione. Ora detiene una partecipazione del 62% senza attività di direzione e coordinamento su AM InvestCo Italy S.p.A. (società creata per l’acquisizione). Il Gruppo ha cambiato nome con l’intervento di Invitalia con l’attuale nome di Acciaierie d’Italia.
Costi salvataggio Ilva, cosa è successo nel 2023
Gli impianti sono rimasti sequestrati e il termine del 23 agosto 2023 per ultimare il piano dell’Aia è scaduto. Visti i ritardi, il Governo sta pensando a ulteriori investimenti con il Fondo Sviluppo e Coesione, così da evitare di utilizzare i fondi del PNRR per altri costi salvataggio Ilva.