A distanza di tre decenni dalla stipula del Trattato di Maastricht, la risposta sulle disuguaglianze tra i redditi medi provenienti da diversi Paesi Europei è abbastanza penalizzante. I dati riportati dall’Eurostat, l’ufficio statistico presidiato dalla Commissione Europea che ha il compito di elaborare i dati pervenuti dai Paesi Membri, sono allarmanti: il divario economico è in forte crescita e la globalizzazione non ha fatto altro che esercitare pieno potere su questo.
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L’esempio lampante deriva dal reddito calcolato su un cittadino medio del Lussemburgo pari a 43.000 euro, ossia nove volte maggiore di quello di un residente rumeno. Il Granducato sembra essere stato l’unico Paese ad aver apportato un esponenziale accrescimento al reddito annuale, visto che solo dieci anni prima si aggirava intorno ai 32.000 euro.
Con i suoi 18.000 euro annui, l’Italia purtroppo resta in fondo alla media europea, e più precisamente al dodicesimo posto appena dopo la Svezia e la Francia, avendo presentato una fascia reddituale pari a 22.000 euro l’anno.
Il potere d’acquisto di ogni singolo Paese è senz’altro degno di una nota di merito, poiché in relazione allo stesso viene decifrato il proprio status economico. Tuttavia, è bene sottolineare che sebbene i redditi di alcune nazioni quali Svizzera o Austria risultino piuttosto elevati, non è detto che possano essere presi in considerazione in qualità di segnali di un’economia sfavillante, visto il tenore di vita piuttosto caro cui i cittadini sono sottoposti.
Pertanto, bisognerebbe scindere i due indicatori economici e osservare da vicino la realtà che scandisce le finanze di ogni Stato.