
Chi decide di abbracciare la libera professione, facendosi così pagare da una serie di committenti diversi e non dallo stesso datore di lavoro come dipendente, deve essere consapevole che nella stragrande maggioranza dei casi sarà necessario aprire una partita Iva.
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Con questo strumento il lavoratore autonomo potrà gestire i propri incassi in autonomia e pagare tasse e contributi allo Stato italiano. C’è però un problema: la libera professione comporta il rischio di rimanere senza clienti, anche per un periodo di tempo piuttosto prolungato. In casi eccezionali e particolarmente complessi, è persino possibile non fatturare assolutamente nulla. Cosa fare, dunque? In questo articolo scopriremo insieme quando può essere una buona idea chiudere la propria partita Iva.
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Cosa comporta avere una partita Iva?

Una Partita IVA si considera inattiva quando il titolare non svolge attività economiche rilevanti, cioè non emette fatture, non riceve pagamenti e non registra operazioni rilevanti ai fini fiscali per un certo periodo di tempo. Questo può accadere per diverse ragioni: un progetto imprenditoriale che non decolla, una pausa temporanea dall’attività lavorativa, o una scelta strategica di mantenere la Partita IVA aperta in attesa di nuove opportunità.
Tuttavia, anche se inattiva, una Partita IVA comporta obblighi fiscali e amministrativi che non si azzerano completamente. L’Agenzia delle Entrate, infatti, considera una Partita IVA “attiva” finché non viene formalmente chiusa, indipendentemente dal fatto che generi o meno fatturato. Questo significa che il titolare deve continuare a rispettare alcune scadenze e adempiere a determinati obblighi, anche in assenza completa di entrate.
Quali obblighi per una Partita IVA inattiva?
Anche senza fatturazioni, una Partita IVA inattiva comporta una serie di responsabilità. Vediamo i principali obblighi:
- Dichiarazione IVA: se il titolare è soggetto al regime IVA ordinario o semplificato, deve presentare la dichiarazione IVA annuale, anche se non ha registrato operazioni attive o passive. In alcuni casi, è possibile indicare che non ci sono stati movimenti, ma la dichiarazione va comunque presentata;
- Contributi previdenziali: per chi è iscritto alla Gestione Commercianti o Artigiani dell’INPS, i contributi previdenziali fissi devono essere versati anche in assenza di fatturato, a meno che non si richieda un’esenzione specifica o si sospenda temporaneamente l’attività (per esempio, per maternità o malattia). Nel regime forfettario, invece, i contributi INPS dipendono dal reddito effettivo, quindi in assenza di fatturato non sono dovuti contributi variabili, ma resta l’obbligo di iscrizione alla gestione previdenziale;
- Dichiarazione dei redditi: anche in caso di reddito zero, il titolare della Partita IVA deve presentare la dichiarazione dei redditi, indicando l’assenza di entrate derivanti dall’attività;
- Tenuta dei registri: nel regime ordinario o semplificato, è obbligatorio mantenere aggiornati i registri contabili, anche se non ci sono operazioni da registrare. Nel regime forfettario, questo obbligo è semplificato, ma è comunque necessario conservare la documentazione relativa alla Partita IVA;
- Costi amministrativi: anche in assenza di fatturato, il commercialista potrebbe addebitare costi per la gestione della Partita IVA, come la preparazione delle dichiarazioni o la consulenza fiscale. Questi costi variano in base al professionista e al regime fiscale adottato;
- Comunicazioni periodiche: in alcuni casi, come per i contribuenti in regime ordinario, potrebbero essere richiesti adempimenti come la comunicazione delle liquidazioni periodiche IVA, anche se non ci sono operazioni da segnalare.
Rischi di mantenere una Partita IVA inattiva
Lasciare una Partita IVA aperta senza fatturare comporta alcuni rischi, sia dal punto di vista fiscale che amministrativo. Tra gli altri:
- Controlli fiscali: l’Agenzia delle Entrate potrebbe considerare una Partita IVA inattiva come sospetta, soprattutto se rimane aperta per anni senza registrare movimenti. In alcuni casi, potrebbe essere avviata una verifica per accertare che non si tratti di un’evasione fiscale o di un’attività nascosta.
- Sanzioni per inadempimenti: dimenticare di presentare la dichiarazione IVA o la dichiarazione dei redditi, anche in assenza di fatturato, può comportare sanzioni amministrative. Ad esempio, omettere la dichiarazione IVA può portare a una multa che va da 250 a 2.000 euro;
- Costi inutili: come già accennato, i contributi INPS e le spese per il commercialista rappresentano un costo fisso che grava sul titolare, anche senza entrate. Questo può diventare un peso economico non indifferente, soprattutto per chi non prevede di riprendere l’attività a breve;
- Segnalazione come “Partita IVA dormiente”: l’Agenzia delle Entrate monitora le Partite IVA inattive per più di tre anni consecutivi. In questi casi, può inviare una comunicazione al titolare, invitandolo a chiudere la Partita IVA o a giustificarne il mantenimento. Se il titolare non risponde, l’Agenzia può procedere alla chiusura d’ufficio, con possibili sanzioni.
Quando conviene mantenere aperta una Partita IVA inattiva?
Nonostante i costi e gli obblighi, ci sono situazioni in cui mantenere una Partita IVA inattiva può essere – per certi versi – una scelta strategica. Ecco alcuni scenari in cui potrebbe essere conveniente:
- Prospettive future: se prevedi di riprendere l’attività in un futuro prossimo (ad esempio, entro uno o due anni), mantenere la Partita IVA aperta può evitarti i costi e le pratiche burocratiche legate alla riapertura;
- Clienti o contratti in sospeso: se hai contratti in fase di negoziazione o clienti che potrebbero richiedere i tuoi servizi a breve, mantenere la Partita IVA attiva ti consente di essere immediatamente operativo;
- Agevolazioni fiscali: in alcuni casi, chiudere e riaprire una Partita IVA potrebbe comportare la perdita di benefici fiscali, come l’accesso al regime forfettario o altre agevolazioni per nuove attività;
- Reputazione professionale: per alcune professioni, avere una Partita IVA attiva può essere percepito come un segno di professionalità e continuità, anche in periodi di inattività.
Quando conviene chiudere una Partita IVA inattiva?
Chiudere una Partita IVA inattiva è spesso la scelta più sensata quando non ci sono prospettive concrete di ripresa dell’attività. Ecco alcune situazioni in cui la chiusura è consigliabile:
- Costi insostenibili: se i contributi INPS e le spese del commercialista rappresentano un peso economico significativo, chiudere la Partita IVA può liberare risorse finanziarie;
- Inattività prolungata: se l’attività è ferma da più di tre anni e non si prevede di riprenderla, il rischio di controlli fiscali o di sanzioni per inadempimenti rende la chiusura una scelta più sicura.
- Cambio di carriera: se si è deciso di abbandonare l’attività autonoma per un lavoro dipendente o per altre opportunità, mantenere la Partita IVA aperta non ha alcun senso;
- Semplificazione burocratica: chiudere la Partita IVA elimina l’obbligo di presentare dichiarazioni e adempiere a scadenze fiscali, semplificando la gestione amministrativa.
Come si chiude una Partita IVA?

La chiusura di una Partita IVA è un processo relativamente semplice, ma richiede alcuni passaggi formali:
- Comunicazione all’Agenzia delle Entrate: Bisogna compilare il modello AA9/12 (per le ditte individuali) o AA7/10 (per le società) e presentarlo entro 30 giorni dalla cessazione dell’attività. La comunicazione può essere effettuata tramite il commercialista, un intermediario abilitato o direttamente sul sito dell’Agenzia delle Entrate;
- Cessazione dell’iscrizione INPS: se sei iscritto alla Gestione Commercianti o Artigiani, devi comunicare la cessazione dell’attività all’INPS per interrompere l’obbligo di versamento dei contributi;
- Adempimenti finali: è necessario presentare l’ultima dichiarazione IVA e la dichiarazione dei redditi relative al periodo di attività, anche se parziale.
- Costi di chiusura: la chiusura della Partita IVA è generalmente gratuita, ma il commercialista potrebbe addebitare una tariffa per la gestione della pratica.
Qualche considerazione finale
Dopo aver chiuso la Partita IVA, è fondamentale monitorare attentamente la propria situazione finanziaria e professionale per evitare ulteriori complicazioni in un futuro prossimo. Ad esempio, è consigliabile verificare che tutte le comunicazioni con l’Agenzia delle Entrate e l’INPS siano state correttamente recepite, controllando che non risultino debiti o adempimenti in sospeso. Inoltre, chi ha chiuso la Partita IVA potrebbe voler valutare alternative per mantenere una certa flessibilità lavorativa, come collaborazioni occasionali o contratti a progetto, che non richiedono l’apertura di una nuova Partita Iva. È altrettanto importante pianificare il futuro: se si prevede di riprendere un’attività autonoma, in un secondo momento, può essere utile consultare un commercialista per ottimizzare il regime fiscale e sfruttare eventuali agevolazioni disponibili per le nuove attività. Infine, è opportuno conservare tutta la documentazione relativa alla Partita IVA chiusa, come fatture, ricevute e dichiarazioni, per almeno cinque anni, in quanto potrebbero essere richieste in caso di controlli fiscali successivi.